Attraverso gli anni trenta - Un itinerario iconografico sentito da una parte come modello di una classicità perenne , e dall’altra come archetipale matrice immaginativa. L’influenza di maestri come Casorati e Carrà è evidente anche nel gioco dialettico delle contrapposizioni. Altri luoghi iconografici di incontro sono l’universo umanizzato del mondo del lavoro, ora esaltato come realizzazione individuale ora visto come legame con la terra e il paesaggio; la vita metropolitana e il sereno ambito domestico delle relazioni familiari; la festa e i suoi apparati colorati.
Comune è anche l’inclinazione a legare bellezza femminile e ambiente, naturale o domestico. Infine, un senso estatico della natura, come Eden ormai remoto se non perduto, è riconoscibile in diverse opere figurative di questi anni.
Se la chiave iconografica dà la possibilità di superare rigide schematizzazioni e contrapposizioni a vantaggio di un itinerario di lettura che consente di scoprire non solo le concordanze poetiche ma anche le dissonanze rivelatrici e significative, un secondo parametro "topografico" può rivelarsi non meno fruttuoso per l’identificazione di singoli profili e complessità di situazioni. Si consideri, in questa direzione, il ruolo propositivo, di influenza e di attrazione che negli anni trenta hanno avuto rispettivamente Torino, Roma e il bipolo Milano-Bergamo per il periodo che vede congiunte l’affermazione degli artisti di Corrente e quella del Premio Bergamo di cui gli stessi giovani pittori sono protagonisti.
A Torino, nella svolta del decennio, l’accorta lungimiranza di Casorati e l’ardore insieme cristiano e europeo di Persico - critico non conformista , non disposto ad autarchici arroccamenti nè a consegnarsi a una separata "torre d’avorio" del mondo dell’arte - possono dimostrare l’inevitabilitàdi una scelta insieme modernista e legata a una solo, produttiva, cultura continentale. "I sei di Torino" (Boswell, Chessa, Galante, Levi, Menzio, Paulucci) esprimono chiaramente la necessità di collocare la ricerca pittorica, al di là di ogni magniloquente esercitazione retorica, in stretta vicinanza con il "gusto" europeo, particolarmente francese, derivato dalla esperienza, ma anche dalla iconografia "moderna" impressionista e postimpressionista.
Quella che si è potuta definire "Scuola romana" o "École de Rome" - si ricordi che la fortunata designazione si deve a Waldmar George che così definisce nel 1933 il lavoro di Cagli, Capogrossi e Cavalli esposto a Parigi e che Longhi, a proposito dell’opera di Mafai, Raphael e Scipione, aveva già parlato nel 1929 di "Scuola di via Cavour" e come ai nomi sopracitati debbano essere aggiunti Afro,Scialoja, Stradone, Pirandello, gli scultori Leoncillo, Mazzacurati, Fazzini - è un clima artistico che accomuna una nuova generazione pervasa da istanze etiche di rinnovamento e dal desiderio di dare una forte rappresentazione fantastica alla vita emozionata e quotidiana di tutti.
È su questo terreno, ideale e formale, che si sviluppano le profonde concordanze con gli artisti giovani operanti a Milano radunati alla fine del decennio in "Corrente", movimento che utilmente accomuna in uno stesso spazio operativo e riflessivo pittori e scultori con poeti, critici e filosofi.
I modi di un rinnovato linguaggio espressionistico, adombrati nelle opere di molti artisti romani, sono qui più marcati ed espliciti così come le opzioni verso una rappresentazione figurativa che esprima la necessità di non separare libertà dell’arte e libertà delle manifestazioni di vita, individuale e sociale, secondo quanto andava sostenendo in quegli anni il filosofo Antonio Banfi.
Il nuovo profilo dell’arte italiana alla fine degli anni trenta risulta ben rappresentato nelle quattro edizioni del Premio Bergamo (1939-1942), autentico proscenio per una giovane generazione di pittori che sapranno dare un volto originale e riconoscibile nell’aperto contesto internazionale all’arte italiana del secondo dopoguerra.
VITTORIO FAGONE
I
teleri di Sironi per il Palazzo delle Poste di Bergamo
Il 19 gennaio 1934 venivano fissati sulle pareti della Sala accettazione dei telegrammi del nuovo Palazzo delle Poste, progettato da Angelo Mazzoni e già inaugurato nell’autunno 1932, i due grandi dipinti a olio di Mario Sironi dedicati uno all’Architettura - Il Lavoro in città - e l’altro all’Agricoltura - Il Lavoro nei campi - trasparenti e riconoscibili allegorie delle due più tipiche immagini della cultura e dell’habitat bergamasco.
Commissionati all’artista nel 1932, i bozzetti preparatori avevano ricevuto il benestare del Ministero delle Comunicazioni ai primi di giugno, venendone prevista la realizzazione per l’autunno dello stesso anno in occasione della inaugurazione del Palazzo delle Poste.
Le opere sironiane non trovarono posto se non due anni dopo, nel gennaio 1934, portati da Milano in ferrovia, sotto le cure di Vittorio Barbaroux, direttore di una delle gallerie milanesi maggiormente impegnate nel sostenere gli artisti contemporanei.
Aveva probabilmente tardato Sironi nella consegna dei teleri a causa dei fitti incarichi professionali che lo chiamavano in questo stretto giro d’anni a grandi impegni, dalla mostra romana per il Decennale della Rivoluzione Fascista (1932) alla direzione degli interventi di pittura e scultura alla Triennale di Milano (1933), accompagnati da fondamentali elaborazioni di ordine teorico, delle quali il Manifesto della pittura murale (1933) è certamente il più significativo.
I due dipinti per le Poste di Bergamo, dal punto di vista storico artistico, hanno dunque speciale rilevanza per la collocazione cronologica nell’itinerario creativo di Sironi, per le modalità rappresentative e le procedure tecniche adottate: la nuova scala monumentale delle rappresentazioni figurali, il particolare trattamento dei soggetti iconografici espresso in una cifra in cui si bilanciano modernità di temi e trasposta visione classica, la semplificazione radicale dell’apparenza pittorica, orientata a una chiara definizione dei rapporti tra temi rappresentati e ordinata complemetarietà rispetto alla scansione dell’ambiente architettonico complessivo. I teleri sironiani per Bergamo segnano una svolta decisiva nella ricerca dell’artista prefigurando gli sviluppi dei successivi cicli monumentali e decorativi degli anni Trenta, e lasciano della città una metafora eroica e un’appassionante apologia.
Il profondo rapporto tra Sironi e Bergamo si collega d’altra parte anche all’esperienza umana dell’artista che dispose alla sua scomparsa di riposare a Bergamo, accanto alla madre Giulia Villa ed alla figlia Rossana.
Per quasi quarant’anni i due dipinti per il Palazzo delle Poste sono stati le opere d’arte contemporanea più vicini alla consuetudine quotidiana della vita della città. La Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, debitamente autorizzata, è stata ora attrezzata in modo da consentire la piena fruizione delle due importanti opere di Sironi dando così una concretarisposta al desiderio, molte volte ribadito negli ultimi anni, della città di Bergamo.
Il "metodo" di Martini
Prendo la statua dal particolare meno interessante, cioè il meno importante, quello che può suggestionarmi meno, quello che può dare a me più confidenza e meno soggezione; e quindi non parlo mai nel fare una statua, che essendo un’immagine già mi turba. E vado avanti, avanti, immaginandomi l’aldilà, che non voglio mai vedere.
Quando capisco che, adagio, questa operazione sta riuscendomi, e che è in pieno mio dominio, allora mi volto, e guardo la statua per la prima volta. Con un colpo, le apro gli occhi, ed è viva.
Basta un colpo, l’ultimo.
In questo modo incominciando dal particolare, che non era nella visione, che non apparteneva all’immagine avuta inizialmente, cominciò da ciò che non avevo pensato. Il famoso verso, che vien da Dio, me lo riservo per ultimo e le do il soffio finale.Il soffio è un tradimento inaspettato per la statua, e bisogna sempre aspettare un suo momento didistrazione.
Arturo Martini
(colloqui con G.Scarpa)
Mutevole come un barometro, l'artista vive continuamente in alternative di speranze illusorie e di esagerate disperazioni. Le disuguaglianze dei suoi sentimenti producono le più curiose dissonanze spirituali. Dei suoi mutamenti formali non si possono dare che spiegazioni molto approssimative.
Chi può infatti incasellare le sue inquietudini, le sue emozioni, se egli vive continuamente con qualche demone?
Il corpo non ha espressione, ha carattere; e la testa è soltanto un'appendice indifferente, il più delle volte un'intrusa. Gli apparati sensori non sono in vista come nel viso e per questo le superfici diventano larghe e raccolte, e la costruzione pura. Ogni volta che noi vediamo un nudo, ci sembra sia stato creato allora, se ne riceve un senso di meraviglia, e infatti una strana animalità lo avvicina e lo lega come parte di una vitalità misteriosa alle altre cose della natura.
Neoromantici
In questi ultimi tempi si parla molto di derivazione dell'Ottocento, di atteggiamenti neoromantici; in fondo credo che è meglio partire dalla radice vicina che risalire ai tempi delle corazze e delle toghe.
Noi assistiamo continuamente alla demolizione di tutto ciò che è appartenuto all'Ottocento e io ne sono stato testimone, quando ho visto la mia vecchia casa cadere, i muri crollare ad uno ad uno, le camere aprirsi un attimo alla luce e poi diventare calcinaccio e polvere.
La pittura, per esempio, ci libera da molta accademia, l'individuo comincia a essere rappresentato un po' come è, nella sua luce naturale, nei suoi gesti particolari: e non si dipingono più tante storie di santi, cupidi alati, uomini dignitosi e presuntuosi: e di questo, sinceramente, dobbiamo essergliene riconoscenti.
Nature morte
La sostanza delle cose conta più dei colori, è la sostanza che determina la forma, mentre la plasticità è intensificata dallo strato d’aria che avviluppa le cose. E’ l’aria che ci fa indovinare e vedere col nostro cervello il lato per noi invisibile degli oggetti.
Paesaggi
Contro e pro il paesaggio
La pittura di paesaggio è femmina e le sue conseguenze sono il rammollimento del gusto,l’esigenza e la smania delle soluzioni ambigue che solleticano il senso, il piacere, il capriccio, la fantasia, e in ultimo lo spirito, la malinconia e la baldoria e in genere tutti i romanticismi,la lontananza dalle soluzioni rigidamente logiche e necessarie. In conclusione l’amore di tutte le inutilità che trasportano la mente senza sorreggerla né guidarla nelle aspre avventure dello spirito.
Mario Sironi, 1930
Il sole tramontante proietta sul paesaggio lunghi fasci di luce. I campi sono illuminati da questa rivelazione di luce, che qua e là si spegne, conferendo al paesaggio una sensazione del divino.
Sotto questa sensazione del divino prendo i pennelli e dipingo il paesaggio che mi sta solenne davanti.
Secondo Futurismo Al di là della pittura da cavalletto, al di là del frammento pittorico
La pittura, perduti i rapporti con l’architettura, cioè con la vita, si decompose, si frantumò, annunziando fatalmente il trionfo del frammento, l’avvento del quadro da cavalletto, dell’espressione individualista.
I bifolchi del sentimento - i romantici - continuarono a lungo a speculare sopra questa misera superficie di pochi centimetri quadrati illudendosi di riassumere in un rettangolo di modeste proporzioni evaso dall’ambiente funzionale, la potenza suggestiva del linguaggio plastico dei primitivi o dei classici, di coloro cioè che a contatto con Dio o con la terra, con l’immagine plastica e con l’architettura avevano compreso il compito umano dell’arte.
La generazione dei bifolchi del sentimento - cioè dei pittori e scultori romantici che attribuiscono al quadro da cavalletto e al frammento pittorico o plastico poteri universali o valori plastici è in agonia.
L’agonia è lenta, ma la certezza di questa fine è in noi.
Noi futuristi italiani, precursori d’ogni felice indirizzo artistico e plastico, sentiamo imperiosamente la necessità di arginare l’attuale disorientamento della pittura e della scultura per la sopravvalutazione e sovrapproduzione del quadro e del frammento plastico, che ha esaurito totalmente lo sviluppo storico delle arti plastiche e la loro funzione in rapporto alla vita di un popoloin completa rinascita.
Enrico Prampolini, 1934
Arte a Torino
I Sei di Torino
La prima mostra dei "Sei pittori" fu il risultato di una lenta elaborazione di idee, e di un lavoro sotterraneo da cui erano esclusi ogni facile estro ed ogni speranza di successo.Per quindici giorni, Torino assistette a un carnevale non meno rumoroso e divertente di quello che nella capitale subalpina ha tante tradizioni di spensieratezza goliardica: la critica e il pubblico si accanirono contro i "Sei" con l’intuizione di un pericolo irreparabile; i giornali pubblicavano colonne e colonne di luoghi comuni, mentre i visitatori si accampavano nella saletta della mostra a spacciare le spiritosaggini più inaudite. Alla collera degli avversari, e alla impreparazione del pubblico, i sei pittori, fiancheggiati da un gruppetto di amici, opponevano quotidianamente il tranquillo decoro della ragione, e trasformavano la bottega di piazza Castello nella sede di un bizzarro comitato di salute pubblica.
Edoardo Persico, 1931
Arte a Roma: Scipione
Era un ragazzo atletico e rosso di faccia, un’andatura da semidio e un ridere improvviso e pieno.
A guardarlo, a sentire il calore della sua voce e l’impeto dei suoi discorsi, nessuno avrebbe pensato al male che lo rodeva, alla febbre che non lolasciava più ormai da un pezzo.
Tutti conoscevano il suo male, ma nessuno pensava alla sua morte. Ma Scipione aveva nel cuore la pena terribile di saper che non aveva tempo per esprimere tutto quel che dentro gli urgeva.
Era di quei temperamenti dai quali ci si può attendere all’improvviso l’impossibile. Della suagenerazione, era l’artista più completo e giovane, quello in cui erano più possibilità di imprevisto ed irruenza di genialità.
Fu disegnatore grandissimo. Tra i moderni fu il primo a piegare ogni precedente esperienza disegnativa per raggiungere un particolare segno a tocchi improvvisi e sinuose sensualissime linee penetranti. In lui nessuna sciccheria, nessun modernismo d’accatto, nessun partito preso. Fra due pitture corrono cento, duecento disegni, espressi con mano nervosa, con ampiezza di scrittura rapidissimi, liricissimi.
Era giovanissimo quando insieme a Mafai creò a Roma uno dei fenomeni più importanti nella storia della pittura dell’ultimo decennio.
Renato Guttuso, 1933
Arte a Roma Le ragioni implicite
Il momento artistico attuale ha una storia così complessa che sarebbe assai saggio partito non arrischiarsi a parlarne.
Forse questo momento dell’arte apparirà, novello Sisifo, come un portento di buona volontà, intesi come si è alla sudata fatica di portarci dietro, costi che costi, tutta una congerie d’indirizzi aprioristici, di schemi, di analisi, di sintesi, di presupposti, di ricognizioni su un passato prossimo,remoto e remotissimo.
Pare che sia colpa di un’eccessiva critica: e forse non dipende che dalla personalità degli artisti: ma è anche vero che non siano pure e semplici ragioni politiche ad aver influito così stranamente a sovvertire le naturali funzioni dell’arte.
Infatti, un’arte che per il momento almeno, ha perso ogni vitale destinazione deve per forza trovare ragioni sue proprie ed esplicite per vivere e sono forse proprio queste ragioni che a loro volta, la allontanano da una comprensione generale.
E in particolare, se, come in questo caso, mi occorresse illustrare o scusare il mio lavoro pubblicamente, dirò che quelle ragioni ho cercato di rendere implicite (che non vuol dire negarle etanto meno non essersene avveduto) non per programma - che sarebbe assai vecchio - ma pernecessità di esprimere.
Fausto Pirandello, 1935
Tra Corrente e Premio Bergamo
Il pittore moderno
Solo i giovani hanno ammesso l’utilità di tutte le esperienze, creatrici di fermenti vitali, e le hanno superate, perché le hanno accettate, semplicemente come si accetta un pane quando si ha fame.
Nella posizione pacifica di questo stato e nella sua congenita naturalezza sta la reale libertà d’azione morale del giovane d’oggi e la sua posizione di moderno.
Renato Birolli, 1934
Tra Corrente e Premio Bergamo
Tempi pericolosi ma straordinari
Eravamo appena ragazzi e ci misero in testa il problema della coerenza o almeno tentarono. Gli amici indicavano, tra i nostri, questo o quel quadro, questo o quel particolare e dicevano: ecco queste sono le qualità tue, questo è il tuo senso, cerca di tenerti su questa strada.
Gli amici non capiscono mai i nostri amori e sempre vorrebbero che avessimo i loro. Allora le due "grandi correnti", erano, a Milano il "Novecento", e a Roma il cosiddetto"Neoclassicismo", per cui, a un certo punto, venne la auspicata Pasqua e si parlò di "Novecentismo neoclassico".
Queste delizie pretendevano di tenere a battesimo la nostra generazione.
Poi vennero ad insegnarci il "tono" e la "materia pittorica" e ci fornirono la stolida polemica dei calligrafi e dei contenutisti con l’obbligo di scegliere o di qua o di là.
Ora tutte queste avventure ci sembrano vergognose e remote, tuttavia l’aria che c’è in giro non va bene.
Sembra che nessuno si accorga che questi sono tempi pericolosi ma straordinari. Se io potessi, per un’attenzione del Padreterno, scegliere un momento nella storia e un mestiere, sceglierei questo tempo e il mestiere del pittore.
Le condizioni oggi sono storicamente privilegiate, sempre che si abbia la forza e la libertà interna necessaria in tempi così pericolosi.
Renato Guttuso, 1939.