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1. Natura morta «di maniera italiana» e di «maniera fiamminga».
Uno dei primi tentativi di saggio generale sulla pittura di natura morta in Italia nel Seicento, quello dello Hoogewerff nel 1924, traeva origine, per esplicita dichiarazione dell’autore, dalla constatazione che anche nell’ultima delle già numerose monografie internazionali sull’argomento, quella del Bye – cosí come nelle precedenti –, non vi era traccia né notizia dell’esistenza di quel «genere» in Italia, come nei Paesi Bassi e in Spagna, aree culturali nazionali già esplorate fin dalla fine dell’Ottocento. Bisogna in realtà attendere fino al 1950, quando un saggio di Roberto Longhi imposta per la prima volta i problemi storici e critici di fondo: un’impostazione oggi passibile di revisione, ma soprattutto sulla base degli ulteriori risultati conoscitivi a cui quel saggio ha dato l’avvio, oltre che sulla base di diverse impostazioni metodologiche in questo dopoguerra, da Gombrich a Bergström. D’altronde, a confronto con mezzo secolo di studi e mostre internazionali (e in un paese che possedeva, nelle sue raccolte, alcuni esempi fondamentali delle diverse scuole nazionali, i Jan Brueghel il Vecchio dell’Ambrosiana di Milano, lo Zurbarán della Collezione Contini-Bonacossi di Firenze, il Baugin della Galleria Spada di Roma), prima del saggio di Longhi si potevano ricordare in sostanza due soli contributi veramente significativi,quello pionieristico del Marangoni nel 1917 e quelli del 1930 e 1931 di Giuseppe De Logu, di grande precisione attributiva, ma limitati all’area settentrionaledel Veneto, Lombardia e Liguria Dopo il saggiodel Longhi, dovranno passare ancora dodici anni prima di giungere alla monografia generale di De Logu,quattordici per la mostra itinerante da Napoli a Zurigo e a Rotterdam. L’impostazione del Longhi prescinde sia dall’organizzazione per «generi» della produzione e della domanda,che caratterizza la pittura del Seicento con radici nel tardo manierismo internazionale degli ultimi decenni del Cinquecento, sia dalle ricerche sulle origini della rappresentazione autonoma di naturalia e di oggetti dell’esperienza quotidiana ai vari livelli sociali. Essa si fonda sulla rivoluzione culturale «laica» della «pittura della realtà», esemplata dal Caravaggio nel centro, massimamente internazionale, di Roma fra estremo Cinquecentoe primi decenni del Seicento (con ciò spostando l’asse del discorso dal Nord al Sud d’Italia e Spagna), e punta sul livello alto e sui tempi lunghi, dal xvii al xix secolo, di alcune opere e figure intese come momenti esemplari di quella pittura «realista moderna »: la Fiscella del Caravaggio all’Ambrosiana di Milano, i diretti echi nell’ambiente romano di casa Crescenzi, quelli spagnoli in Zurbarán e Van der Hamen, poi Baschenis, Chardin, Courbet, Manet. Ne nasce una netta distinzione, anzi contrapposizione fra la «natura morta» come atteggiamento fiduciosamente «realistico» del pittore di fronte a un brano naturale, e la «natura morta» come sedulità descrittiva, come presunzione da erboristi o da scienziati La drastica impostazione longhiana è stata, in annisuccessivi, mediata e storicizzata, ad esempio, dal Bologna e dal Causa. È del Bologna l’annotazione che proprio il Caravaggio, nel proporre con la massima efficacia e pragmatismo quella che giustamente il Longhi individua come «poetica» della naturalità («tanta manifattura gli era a fare un quadro buono di fiori come di figure»), fa oggettivo riferimento alla piú arcaica, e sedula,e diligente specie del genere natura morta: da Hoefnagel a Flegel, da Ambrosius Bosschaert il Vecchio, a JanBrueghel il Vecchio. Quest’ultimo è attivo a Roma fra 1593 e 1596, proprio negli anni in cui, secondo la testimonianza del Bellori, il Caravaggio, presso il Cavalierd’Arpino, dipingeva «fiori e frutti sí bene contraffatti che da lui vennero a frequentarsi a quella maggior vaghezza che tanto oggi diletta». Nel 1596-97 Brueghel è a Milano, dove operano, non piú tardi del primo decennio del Seicento, i primi due attori documentati della natura morta «arcaica» settentrionale, Ambrogio Figino e Fede Galizia. Flegel Brueghel,Caravaggio e Bosschaert appartengono alla medesima generazione, nati rispettivamente nel 1563, 1568, 1570-71, 1573. Integrando questo dato generazionale con i piú recenti reperti cronologici certi sulle prime nature morte «autonome» transalpine, quali proposti da Claus Grimm fra l’ultimo decennio del Cinquecento e il primo del Seicento, la contrapposizione di Longhi fra una preistoria «manieristica» radicata nel passato cinquecentesco e la nuova storia dei «pittori della realtà» diviene, certo al di là delle sue intenzioni, individuazione di due radici storicamente coeve, di due diverse intenzionalità e comportamenti, insomma di due diverse aree culturali, di cui la natura morta del Seicento europeo, e anche di quello italiano, vedrà l’alternanza, ma anche l’intreccio.tiche e documentarie. Rileggiamo con attenzione la testimonianza citata del Bellori, cioè di un esponente critico della «grande» pittura «di istoria» nella linea di tendenza dell’idealismo classico-barocco, ma che scrive nei decenni della massima fortuna mercantile della natura morta italiana, da Roma a Napoli, dall’Emilia a Bergamo, a Genova: egli afferma con decisione l’origine caravaggesca di una maniera italiana e della sua fortuna, cioè di «quella maggior vaghezza che tanto oggi diletta»,ovviamente in Italia. Con il Bellori siamo ormai al tempo del gusto barocco internazionale, anche nella natura morta. Se ritorniamo ai primi decenni del secolo, in cui persiste la fase originaria di «fondazione» del genere nelle sue varie e distinte formalità, troviamo, entro il 1635, il catalogo delle collezioni d’arte di Carlo Emanuele I di Savoia, compilato dal Della Cornia: in esso, quarantatre nature morte anonime (fiori, frutta, «tavole servite») sono elencate, quasi esattamente metà e metà, con le dizioni «maniera fiamminga» e «manieraitaliana».
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