27/11/2008 Nicolas Schöffer
Nato il 6 settembre 1912 in Kalocsa (Ungheria), ha vissuto a Parigi dal 1936, divenne francese nel 1948 e morì nel suo atelier di Montmartre, Villa des Arts,...»
CEZANNE MADAME CEZANNE IN A RED ARMCHAIR 1877
Canvas
724 x 559mm (28½ x 22")
Museum of Fine Arts, Boston
Cezanne Paul
CEZANNE THE CARD PLAYERS 1890 - 1892
Canvas
558 x 686mm (22¾ x 27")
Courtauld Institute Galleries, London
Cezanne Paul
CEZANNE
Cezanne Paul
CEZANNE ESTAQUE
Cezanne Paul
CEZANNE AMBROISE VOILLARD
Cezanne Paul
CEZANNE NATURA MORTA
Cezanne Paul
CEZANNE ARLECCHINO
Cezanne Paul
CEZANNE PAUL AUTORITRATTO
Cezanne Paul
CEZANNE CONTADINO SEDUTO
Cezanne Paul
CEZANNE PAUL RUPE ROSSA
Cezanne Paul
CEZANNE NATURA MORTA
Cezanne Paul
CEZANNE PAUL M.ME CEZANNE
Cezanne Paul
CéZANNE PAUL L'ONCLE DOMINIQUE Lo zio Dominique)
ca 1865-66
Metropolitan
Museum of Art
New York
Cezanne Paul
CéZANNE PAUL THE ARTIST'S FATHER (Il padre dell'artista)
1866
National Gallery of Art
Washington (DC)
Cezanne Paul
CéZANNE PAUL L'âNE ET LES VOLEURS (L'asino e i ladri)
ca 1869-70
Galleria d'Arte Moderna
Milano
Collezione Grassi
Cezanne Paul
CéZANNE PAUL UNA MODERNA OLYMPIA 1872-73
Musée d'Orsay
Parigi
Cezanne Paul
CéZANNE PAUL BOUQUET DE FLEURS DANS UN VASE (Mazzo di fiori
in un vaso)
ca 1873-75
Museo dell'Ermitage
San Pietroburgo
Cezanne Paul
CéZANNE PAUL LA MAISON DU PENDU (La casa dell'impiccato)
1873
Musée d'Orsay
Parigi
Cezanne Paul
CéZANNE PAUL LA CASA DI PèRE LACROIX) House of Père Lacroix
(
1873
National Gallery of Art
Washington (DC)
Cezanne Paul
CéZANNE PAUL AUVERS, vue panoramique
(Auvers, panorama)
ca 1873-75
Art Institute,
Chicago
Cezanne Paul
CEZANNE PAUL LO STAGNO DIB SOEURS OSNY
Cezanne Paul
CéZANNE PAUL PAESAGGIO A PONTOISE) Paysage à Pontoise
(
ca 1875-77
Museo Pushkin
Mosca
Cezanne Paul
CéZANNE PAUL IL CASTELLO DI MéDAN) Le Château de Médan
(
ca 1879-81
Glasgow Art Gallery
and Museum
Glasgow
Cezanne Paul
CEZANNE PAUL AUTORITRATTO)
Paul Cézanne
Selbstbildnis
(
ca 1880
Kunstmuseum Bern
Berna (Bern)
Cezanne Paul
CéZANNE PAUL IL PONTE DI MAINCY)
Le pont de Maincy
(
1879-80
Musée d'Orsay
Parigi
Cezanne Paul
CéZANNE PAUL IL GOLFO DI MARSIGLIA VISTA DELL'ESTAQUE) Paul Cézanne
Le golfe de Marseille
vu de l'Estaque
(
ca 1883-85
Metropolitan
Museum of Art
New York
Cezanne Paul
CéZANNE PAUL CAVA DI PIETRE A BIBèMUS
Der Steinbruch
Bibémus
(
ca 1895
Museum Folkwang
Essen
Dal 1861 vive tra Aix e Parigi. Nel 1861 si recò per la prima volta a Parigi, dove frequentò l’Académie Suisse per prepararsi al concorso dell’Ecole des Beaux-Arts, dove non fu ammesso. Deluso, tornò ad Aix e fino al 1862 lavorò nella banca paterna. Negli anni seguenti visse tra Aix e Parigi, frequentò quelli che divennero poi i pittori impressionisti ed espose al Salon des Refusés. Continuò comunque ad inviare i suoi quadri al Salon, roccaforte della cultura artistica ufficiale, che sistematicamente li rifiutava. Le opere di questo primo periodo si distinguono per i toni cupi, per i pesanti impasti di colore e per l’irruenza con cui è trattata la materia pittorica (Il negro Scipione)
Il negro Scipione
Durante la guerra franco-prussiana del 1870 si trasferì con Hortense Fiquet, sua modella e poi moglie, all’Estaque, in Provenza. Tra il 1872 e il 1882 si svolse la cosiddetta “fase impressionista” di Cézanne, influenzata soprattutto dalla frequentazione di Pissarro. Nel 1872 raggiunse l'artista a Pontoise, quindi si trasferì a Auvers-sur-Oise ospite del dottor Gachet, amico dei pittori “nuovi” (sarà anche l’ultimo amico di Van Gogh). Nel 1874 partecipò, senza successo, alla prima mostra degli impressionisti con tre opere, tra cui La casa dell’impiccato ad Auvers
La casa dell'impiccato e La nuova Olimpia
. La sua partecipazione alle mostre del gruppo impressionista è limitata a due presenze: nel 1874 e nel 1877. Dopo questa data, praticamente si isola in Provenza non esponendo quasi nulla per circa vent’anni. Dal 1883 si ritirò in Provenza, concentrandosi sulla ricerca di una tecnica che prendesse le distanze da quella impressionista per esaltare, attraverso il colore, le volumetrie della forma. In questi anni rielaborò con insistenza gli stessi temi: visioni dell’Estaque, la montagna Sainte-Victoire, le molte nature morte, i ritratti della moglie (Madame Cézanne nella poltrona gialla,
M.me Cezanne nella poltrona gialla
Le sue opere venivano apprezzate dai colleghi ma non ancora dalla critica; solo negli anni Novanta e agli inizi del Novecento arrivano i primi riconoscimenti: la personale del 1895 è un trionfo e così pure l’esposizione al Salon d’Automne del 1904 (nel frattempo ha partecipato al Salon des Indépendants del 1899, del 1900 e del 1902). Dal 1900, ammalato di diabete, rimane quasi sempre ad Aix-en-Provence. Negli ultimi anni di vita lavora a Le grandi bagnanti (1898-1905)grandiosa sintesi degli studi che sul soggetto aveva accumulato nei dieci anni precedenti.
I Bagnanti Le Grandi Bagnanti
La sua opera « Ma méthode c'est d'aimer le travail »< A molteplici sollecitazioni, talora anche letterarie, si dispongono le prime esperienze pittoriche di Cézanne, tanto nel loro facile e immediato recepire temi e motivi di indole metologica, panica o idilliaca, quanto in quel sovraccaricarsi di influenze, stilistiche e di gusto, non sempre facilmente individuabili. L'ambiente provinciale, ancora saturo di echi e di atteggiamenti romantici e cioè di un'integra, seppur volgarizzata, venerazione per Delacroix, non poteva infatti offrire al giovane pittore provenzale più precisi e riconoscibili riferimenti. Lecito pensare, per questi tortuosi inizi, a una personalità artistica, sensibile, anzi, esageratamente ricettiva ma condannata all'impossibilità di pervenire ad una sintesi significativa e originale. Se qualcosa di unitario è dato scorgere nelle prime opere risulta proprio quel persistente interesse per le figure prese all'aperto, immerse cioè nella natura: figure che di volta in volta potevano essere quelle di ninfe e di satiri, degli amici Marion e Valabrègue a passeggio. di bagnanti o di conversanti sull'erba; talora invece era la scena lugubre di un assassinio nel mezzo di una campagna cupa, o il racconto delle tentazioni di Sant'Antonio nel folto di un boschetto a prender posto sulla tela.I ritratti del primo decennio (1860-70) non stabiliscono una più ordinata traiettoria: acuti nel cogliere, come anche nell'inseguire in un trasporto, ogni sottile movenza del sentimento che la ricercatezza della posa potesse suggerire, egli sceglieva per l'occasione amici il cui carattere e il cui abituale stato d'animo, già a lui in qualche modo noti, si prestassero allo scopo. Uno di questi è Boyer
Non si può mancare d'intravvedere, pur nel differenziarsi degli spunti, il timido prevalere di una certa inclinazione nella ricerca, a volte oscura, di questi anni; quasi l'insinuarsi della crescente esigenza di verificare nell'impegno con una realtà oggettiva la nativa predisposizione alla pittura, quasi il desiderio di varcare il muro delle suggestioni di cui tanto velocemente la sua pittura s'era intrisa. I paesaggi dipinti negli anni immediatamente seguenti al 1860, nei quali trapela la nitida influenza di Corot, altro non sembrano che un genere accanto agli altri, innumerevoli, già sperimentati; tuttavia più visibilmente in essi affiora e si compone un'iniziale e semplice esperienza della natura. Non secondario, al riguardo, è il contatto con il cosiddetto « barocco provenzale », una tendenza, quasi una scuola, portata avanti dai pittori locali Loubon e Monticelli e segnata da una naturale vena naturalistica; la quale era a sua volta maturata in un rapporto istintivo con la pienezza e l'esuberanza del paesaggio meridionale e, fattasi densa di un gusto insolito per i forti contrasti di colore, s'era impregnata di un clima fantastico e talora quasi fiabesco. Ad essi Cézanne si accosta spontaneamente, tanto per una sua affinità di temperamento e di sensibilità, quanto perché il problema della natura e del rapporto con essa iniziava così a catalizzare le sue aspirazioni. Nei paesaggi degli anni intorno al '70 si avvertiva il tentativo di penetrare, in forza di una soggettiva irruenza, nel movimento segreto della natura, per afferrarne un più profondo contatto: radure, alberi, rocce e scorci del bosco al Jas de Bouffan sono i motivi ricorrenti, resi a macchie contrapposte di colore intenso e corposo, come per conformare il proprio gesto al rilievo della natura o per trattenerne tutta la fisicità e in questa poi presagire l'origine e la compostezza di ogni forma. Non è ancora una totale esperienza della natura, ma piuttosto il sorgere e il dilagare di un'emozione sincera provata nel contatto con essa. A scioglierlo dal laccio di un atteggiamento ancora incluso, in fondo, nell'orizzonte romantico e ad introdurlo in una più approfondita e stimolante vicenda personale sarebbe insorto, clamorosamente e in breve tempo, il fenomeno impressionista. Già nel 1866 in una lettera a Zona egli -aveva espresso entusiasticamente la scoperta dell'impareggiabile bellezza dei quadri eseguiti all'aperto rispetto a quelli realizzati in studio e aveva così proclamato la sua decisione di dipingere da quel momento esclusivamente dal vero; ma la pittura « en plein air » di Monet e amici portava con n se', o oltre ll'assoluta libertà e immediatezza della visione, affidata alla pura impressione visiva, l'abbandono di ogni rigore che in qualche modo precedesse e violasse il costituirsi spontaneo del rapporto con la realtà. A Auvers come a Pontoise, dal '72 al '74, Cézanne lavora a fianco di Pissarro e inizia, in questa luce, una costante verifica sulla natura della pro- pria emozione; meglio sarebbe dire una verifica di quelle sensazioni di colore attraverso cui la visione poteva essere colta e configurata; qui infatti egli inizia ad accorgersi che è la natura stessa, nella sua più profonda verità, a offrire e a rivelare, proprio attraverso il fenomeno della visione, l'intima e inesplorata sua compaginazione. Per Cézanne la sensazione implica tutte le capacità sensitive, comprese quelle del cuore. « Ce n'est qu'un oefl » sarà il suo giudizio, espresso moltil anni più tardi su Monet (nonostante aggiungesse poi « ... mais quel oeil! ») a riprova di una presa di distanza presente sin da questo momento rispetto all'impressionismo. A tale posizione doveva contribuire non poco l'insegnamento raccolto nelle visite abituali e appassionate al Louvre, nelle quali Cézanne rimaneva appunto affascinato dalla capacità irrudicibile della pittura di perseguire e di rendere visibile, al di là della natura che ognuno può avere sotto gli occhi, quel fattore ineffabile che invece la sottende. Abituato ad ammirare il paesaggio della sua terra, a immergersi in esso e ad amarne inesorabilmente, pur nella grande varietà delle vedute, l'immutabilità, Cézanne non rinuncia ad un'integrale esperienza della realtà, non si abbandona alla fragilità di un'impressione contingente, come il riverbero del sole fugacemente catturato o il riflesso sull'acqua che s'è appena composto e già si dilegua. Egli coglie piuttosto le sensazioni di colore in una rocciosità quasi arida di materia, come per non smarrire, nel gioco della visione, la totale profondità della natura. La Maison du pendu del '72, risulta l'esempio più significativo di questa maturazione; con lei tuttavia anche i paesaggi alla Estaque e le frequenti vedute al Jas de Bouffan, oltre ai dipinti di Auvers, ne segnano i passi< Alberi di castagno in inverno a Bouffan Alberi di castagno a Bouffan
Ognuno sa come una delle armi cui la critica più di consueto ricorre risulti quella dell'enucleare, entro la parabola di un artista, alcuni momenti o, per dirla con termine più ricorrente, alcuni periodi; ora con Cézanne simile individuazione non può che poggiarsi su apporti e constatazioni del tutto esteriori e non è giustificabile altrimenti che come necessità di catalogazione. La sua opera, infatti, anziché procedere per mutamenti improvvisi o per imprevedibili colpi d'ala, avanza per progressiva, caparbia organizzazione d'un impulso già ben riconoscibile negli scoordinati e talora contorti esiti dei primi anni. Così ragioni biografiche assai più che ragioni espressive spiegano presunte svolte di frequente intravviste dalla critica dentro il cammino cézanniano: non fa eccezione naturalmente quella che molti sostengono essersi verificata dopo il 1877, quando, per le amare e desolanti accoglienze ricevute alla terza esposizione degli impressionisti, spinto altresì dall'inasprirsi dei rapporti con il padre, Cézanne s'era deciso a lasciar Parigi e a rifugiarsi ad Aix per tre anni
In verità interpretare quella decisione come una volontà di togliere gli ormeggi dal porto impressionista risulta abusivo: Cézanne con i maestri del 1874 aveva sempre avuto ben poco da spartire e quel poco che da loro aveva appreso se lo sarebbe portato dentro, nonostante tutto, ancora per quasi dieci anni. Certo dell'abissale distanza che lo separava da loro s'era fatto, di per sé, sufficiente consapevolezza; mai infatti s'era trovato a spartire la casualità con cui l'occhio impressionista abitualmente si posava sugli oggetti, tanto meno ora che dentro di sé sentiva maturare la coscienza del « motif », del motivo cioè su cui la sua pittura poteva affinare senza sosta, quasi come per una moderna e rivoluzionata accademia, la propria capacità d'affondare dentro le cose e di percepire la verità. Insomma, di contro a quanto andava accadendo a tutta la pittura europea, Cézanne sceglieva di privarsi di una libertà, quella per cui, di lì a poco, il campo del rappresentabile avrebbe abbattuto ogni previsto e legittimo confine, per acquisirne invece un'altra, di libertà, meno vistosa ma ben più vera e sofferta, che gli permettesse appunto di scovare e di muoversi nel profondo della vita.
Degli impressionisti anche la fragilità doveva poi ossessionarlo: sentiva i loro quadri traballare proprio per avere voluto erigersi su semplici sensazioni ottiche senza aver tenuto presente quel « souci classique », quel retaggio classico che ognuno di loro si portava dentro e a cui, volenti o nolenti, si avrebbe dovuto rendere conto.
Ma se s'intendesse misurare in tutto e per tutto la distanza che si poneva tra Cézanne e il gruppo del '74 bisogna spendere due parole anche sul come, lui e loro, s'eran trovati a mettere le rispettive mani sulla natura; Perché, contrariamente a quanto talune interferenze biografiche potrebbero lasciar supporre, punto di riferimento unico ed esclusivo al proposito risultava, per il maestro di Aix, il gran padre Courbet. Se qualcuno ne dubitasse, se a qualcuno cioè non bastasse un quadro quale la Maison du Pendu per capire come una così certa impostazione naturalistica non potesse derivare a Cézanne dall'effimero colpo d'occhio impressionista, ma presupponesse un ben più saldo precedente, ebbene a costui consiglieremmo di attendere, per fugare ogni residua incertezza, le seguenti parole del maestro provenzale; parole che, come ognuno potrà ben constatare, risultano non soltanto straripare di passione e venerazione, ma anchesì reggersi su d'una ineccepibile lucidità critica: « Courbet è l'odore delle foglie fradicie e quello del muschio cresciuto sulle pietre del sottobosco, lo scrosciare delle pioggie, l'ombra delle macchie e l'avanzare del sole tra le fronde degli alberi; Courbet è l'irrompere della natura dentro la pittura del diciannovesimo secolo ».
"Auvers, vue panoramique"
Certo anche Courbet, al pari degli impressionisti, aveva chiuso un occhio su quel « souci classique » di cui s'era innanzi parlato; tuttavia, tanto terrestre e potente risultava il suo sentimento della natura che i suoi quadri, in quanto appunto a solidità, non avevano assolutamente nulla da recriminare.
Resta comunque il fatto che proprio di fronte alla comune, seppur diversificata incompletezza di chi l'aveva preceduto come, soprattutto, di fronte a quella di chi gli camminava al fianco si aveva la misura della grande coscienza morale di Cézanne; lui solo, trovandosi davanti a una tela, si poneva la necessità, che si traduceva immediatamente in fatica e in infinita pazienza, di tener d entro e di abbracciare ogni volta tutto: la parzialità lo esasperava come lo esasperava, del resto, la miseria di una cultura sempre più esclusivamente attenta e disponibile agli estri sentimentali, psicologici ed emotivi del singolo. Non comprendeva poi quale senso quella medesima cultura potesse ancora vantare, visto come aveva ormai abdicato al suo dovere e alla sua funzione d'erigersi a centro e a punto di riferimento della vita di tutti; ben per questo lui stesso si sforzava con generosità, che risultava nel medesimo tempo biblica e commovente, di restar fedele a tale mancato dovere e a tale destituita funzione.
La pittura insomma col passare degli anni sempre più assumeva per Cézanne l'ampiezza e la portata d'un atto morale: come tale non pioveva certo su di lui come una grazia del cielo, né, tanto meno, si rapprendeva su illuminazioni improvvise e fulminanti; avanzava bensì, e si erigeva, a passi lenti e faticosi, conseguiti a furia di continui tentativi, di ripetute prove, d'insistiti assaggi. Per farsene un'idea bisogna ripercorrere quella lunga serie di « Bagnanti » che proprio in quanto prevedevano delle figure immerse in un paesaggio costituivano, per ogni pittore e ancor più per Cézanne, uno dei più completi banchi di prova.
Su quelle tele la coscienza costruttiva tentava di arginare, ogni volta, l'erompere del sentimento naturale; l'inquietudine invece, che faceva per altro vibrare quelle figure sin quasi ad avvolgerle in vampate di fiamma, veniva a sua volta a ricomporsi in un più totale e panico respiro; « le souci classique », insomma, si tendeva e dilatava sino ad accogliere ed abbracciare in sé il palpito e il fragore della vita; e la mai risolta irrequietezza dello spirito accettava, se non di placarsi, almeno di stemperarsi dentro il vastissimo ansimare della natura. Man mano poi che gli anni passavano, l'abbandonava la certezza o la presunzione di poter di volta in volta porre un sigillo, si trattasse pur di quello della firma, ai propri quadri: di volta in volta lo sforzo anziché concludersi e risolversi in equilibrio finalmente conseguito, domandava altra fatica, altri ten ' tativi. I « motifs » costituivano così gli appoggi, gli insostituibili sostegni del suo cammino: nel 1883 aveva scoperto il blu folgorante del golfo di Marsiglia visto dalla Estaque; nel 1885 era stata invece la volta di Gardanne, un borgo arroccato su d'una collina non distante da Aix; per la verità questo medesimo anno doveva restare nella cronistoria cézanniana per un'altra, fondamentale rivelazione, quella della montagna Sainte-Victoire.
Monte Sainte-Victoire visto dalla cava di Bibemus (Le, Mont Sainte-Victoire vu de la Carrière Bibemus) c. 1897 olio su tela, 25 1/2 X 32 in (64.8 X 81.3
Si ergeva, la Sainte-Victoire, alle spalle di Aix e si ergeva con quella sapienza e giustezza che è propria di tutti gli eventi che sfuggano alla logica della storia e della ragione; con tale sovrana eleganza poi si protendeva a tacito, fedele custode della cittadina provenzale da farci ragionevolmente supporre che Cézanne l'avesse fin lì schivata proprio per un di più di timore e di riverenza. Decidendosi dunque a dipingerla, lui stesso s'apprestava ad accostarla con una cura ed un amore del tutto particolari: riconosceva in lei, ancor più che la custode, l'anima stessa di Aix, lo spirito che vegliava vigile, dall'alto della sua mole, sui tetti, le strade, le piazze, i campi lì circostanti; voleva saperne senz'altro di più, voleva conoscerla meglio questa montagna che Dio, che solo e soltanto Dio poteva aver voluto con quella sagoma e in quella posizione; così, secondo quanto s'è già detto in sede biografica, spesso, le domeniche di primavera, si recava sul posto col geologo Marion per farsi spiegare la morfologia e la natura delle rocce che la costituivano: non s'accontentava, infatti, di ammirarne quelle forme e quell'eleganza che ne facevano quasi un Olimpo della Provenza, voleva scavarla, immergervi le mani quasi avesse avuto il presagio che lì dentro, nelle sue profondità, battesse un cuore, magari il cuore stesso della sua terra o fors'anche di tutto e intero il mondo. Diremo anzi che col sopraggiungere dell'estrema stagione della sua vita quel presagio sembrava, di poco in poco, farsi miracolosa certezza; e come per una sinfonia che crescendo nota per nota e suono per suono si fosse arrampicata verso le massime intensità drammatiche ed espressive, così la Sainte-Victoire s'andava caricando d'insolite, grevi ombre e le sue pendici grondavano di macchie verdi e sempre più scure e cupe. S'avviava insomma a smarrire la sua medesima forma, quasi un vulcano che invece di deflagrare in una devastazione di fuoco e di lava, si disfacesse nell'attimo d'emanare, impastata di terra e di luce, l'anima stessa del mondo il suo respiro,
il suo primo battito, il suo più arcano sussulto.Monte Sainte-Victoire visto da Lauves 1901-1906 matita e acquarello, 18 7/8 x 12 1/4 in (48 X 31 cm) collezione
Da quel 1885 Cézanne si sarebbe trovato una trentina di volte, volendo tenere esclusivo conto degli oli, a dipingere la Sainte-Victoire: ciò non toglie che quella sua suprema capacità d'entrare nella verità delle cose e della vita la riversasse poi su altri « motifs » e che, anzi, tutti i quadri dipinti in quell'ultimo decennio, decennio celebrato giusto un anno fa da una memorabile esposizione parigina, ne risentisse in maniera eccezionale. Così anche le nature morte, e ne sia esempio quella con « Cipolle e bottiglia », che si riproduce in queste pagine, sembrano disporsi, anziché alla tensione astrattiva di un genio, alla fatica e allo sforzo di chi, dal di dentro, voleva ricondurre la presenza e la realtà di ognuno di quegli oggetti alla necessità di un principio (tra l'altro doveva avvertire in questa sua « operazione » l'eco lontana d'una qualche liturgia; liturgia i cui fasti, quei grandi tendaggi o « paramenti » che talora sovrastano le sue Nature morte, vorrebbero appunto ancora rievocare).
Sembrava dirci Cézanne che, per riconoscere l'impronta di quel principio dentro la vita, non occorrevano folgorazioni o estasi, bastava guardare una mela; purché naturalmente sul cammino di quel principio non si erigessero le rovinose barricate d'altre effimere e sacrileghe certezze; purché, insomma, lo si lasciasse fluire, quel principio, come, dentro le proprie fibre, lo lasciavano fluire, ad esempio, quei vecchi di cui Cézanne aveva una volta detto: « amo più di ogni cosa al mondo l'aspetto delle persone invecchiate senza far violenza alle abitudini, lasciandosi andare alle leggi del tempo ».
Non per un caso quindi proprio sul ritratto d'un vecchio, sul ritratto cioè del giardiniere Vallier, Cézanne doveva toccare l'apice, la punta più alta della sua attività; né, tanto meno, per un caso su d'un altro successivo ritratto di quel medesimo giardiniere doveva addirittura chiudere la propria permanenza terrena.
VAlier Così, come per una maturazione avvenuta proprio alle soglie della morte, l'inquetudine cézanniana andava finalmente a placarsi: il suo innato istinto alla costruzione finalmente s'era, in tutto e per tutto, appoggiato alle strutture stesse della terra e della vita; ora quell'istinto non domandava più di piegar le apparenze a qualche semplificazione o approssimazione geometrica, ora esigeva il rispetto totale della realtà e delle sue forme. Che tornassero quindi pure le ombre a coprire il volto, che tornassero I solchi delle rughe a segnare i dolori e le fatiche d'una vita, che tornasse la carne a impastarsi con la terra, che tornasse la luce a immergersi nel più segreto pulsare della vita; che tornasse pure tutto questo perché tra le sue bibliche seppur ormai tremanti mani un vecchio di Aix aveva ritrovato, con la coscienza della verità, un bandolo del filo che univa e unisce ogni cosa al Principio.