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FOTO PRESENTI 5 |
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Esposizioni d'arte in Italia dal 1880 al 1897
MICHETTI PAOLO FRANCESCO IMPRESSIONE SULL'ADRIATICO,
1880, olio su tela, cm 70 x 150; Milano, Civiche raccolte d'arte, Galleria d'arte moderna
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Esposizioni d'arte in Italia dal 1880 al 1897
FAVRETTO LEZIONE DI ANATOMIA
Lezione di anatomia
1873, olio su tavola, cm 43x27
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Esposizioni d'arte in Italia dal 1880 al 1897
MANCINI IL SALTINBANCO
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Esposizioni d'arte in Italia dal 1880 al 1897
LONGONI EMILIO L'ORATORE DELLO SCIOPERO
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Esposizioni d'arte in Italia dal 1880 al 1897
PELLIZZA DI VOLPEDO SPERANZE DELUSE
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Il gruppo degli artisti toscani si oppone a questo accentramento e, di conseguenza, in occasione della mostra di Torino del 1880, viene premeditatamente escluso dai premi. Come si vedrà nelle pagine seguenti, la mostra di Torino darà luogo a critiche particolarmente negative alle opere del gruppo dei macchiaioli - cioè a quello che oggi viene considerato uno dei "punti forti" del nostro Ottocento. Quest'episodio illustra efficacemente quanto sia arduo, per il giovane paese, formulare una politica culturale di stampo unitario, ma al tempo stesso flessibile e aggiornata; e come i criteri di gestione, selezione e premiazione (al pari di quanto avviene negli altri paesi europei) si basino su parametri critici che, a posteriori, è spesso impossibile condividere. Di fatto, nella selezione delle grandi mostre (cfr. par. 2) si può constatare come le manifestazioni più aperte e innovatrici coincidano con nuove istituzioni promosse localmente, come le Triennali di Brera a Milano (dal 1891) e la
Biennale di Venezia (dal 1895). L'esaminare le vicende artistiche italiane del periodo attraverso l'ottica delle grandi esposizioni consente peraltro di recuperare "dal vivo" i rapporti tra gli artisti e i loro interlocutori; pubblico, giurie, critica, strutture ufficiali, mercato, stimolando illuminanti confronti tra la critica militante di allora e il giudizio storico di oggi.
LE GRANDI ESPOSIZIONI D'ARTE
Torino 1880. L'Esposizione Nazionale di Torino del 1880 conclude, come già detto, la serie di mostre nazionali itineranti. La manifestazione torinese, lungi dall'essere di natura locale, rispecchia ampiamente la situazione nazionale del mercato, dei vari schieramenti e, mediante l'assegnazione di premi, rivela la "linea" ufficiale dell'arte italiana. L'affluenza del pubblico all'Esposizione, che comprendeva anche un settore dedicato alle arti applicate all'industria, è piuttosto rilevante per l'epoca: circa duemila persone al giorno. Nel campo dell'arte le preferenze manifestate dai visitatori sono palesi: la pittura di storia è ancora il genere prediletto, seguito dalle scene di battaglia e, quindi, dal paesaggio; i maestri più in vista della scuola napoletana e i paesaggitsti lombardi ottengono un discreto successo commerciale. Tali preferenze di pubblico corrispondono grosso modo al gusto del mercato privato, che registra un'elevata richiesta di pittura di genere: "II pubblico acquista raramente, e quando acquista, per ispender bene i suoi denari, vuole anzitutto della pittura più bellina del vero; e dopo aver calcolato ciò che può convenire al suo appartamento, stabilisce il genere da comprarsi avanti d'andare all'esposizione; e come esce di casa per comprare una cantoniera, un vaso di porcellana, un portafiori, un sottopiedi per la poltrona, così sceglie un quadro di frutta per la sala da pranzo, una vedutina e un Trovatore in barchetta per la camera, un quadretto all'Induno, alla Favretto o alla Michetti per il salotto, un amorino o una Venere alla milanese per il giardino" (A. Cecioni, Opere e scritti). I premi conferiti alle opere migliori sono divisi per generi, e, secondo una ripartizione ancora accademica, la somma più consistente è attribuita alla pittura di storia. Sempre più spesso tuttavia i soggetti storici sono in realtà scene di genere "ambientate storicamente", dove la ricchezza pittorica dei particolari descrittivi prevale sul valore dei contenuti. Il Galileo in Arcetri di NICOLO'BARABINO (1832-91), che riceve il Primo Premio come quadro di storia, ne è un esempio: Galileo è ritratto sul letto di morte, ma l'attenzione dell'osservatore è attratta irresistibilmente dal grande baldacchino giallo. I premi per la pittura di genere sono attribuiti a due giovani artisti, rappresentanti di diverse scuole locali: l'abruzzese FRANCESCO PAOLO MICHETTI (1851-1929) e il veneziano GIACOMO FAVRETTO (1849-87). Il primo, già conosciuto per i soggetti ispirati alla realtà della sua terra d'origine, l'Abruzzo, espone a Torino alcune tele: Pescatori di tendine, I Morticela e Un'impressione sull'Adriatico (fig. 393). Tali opere lasciano trasparire la nuova ricerca dell'artista indirizzata a una resa più puntuale del rapporto luce-colore, attraverso pennellate vivaci e brillanti variazioni cromatiche.Anche il veneziano Favretto manifesta particolare sensibilità per il colore: a Torino egli espone Stampe e Libri (1880) e ll sorciogià presentato a Brera nel 1878. Tali opere segnano nella pittura dell'artista il passaggio dall'attenta resa del vero della Lezione di anatomia (1873), a effetti di trasparenze luminose. Dopo il viaggio a Parigi del 1878, dove è attratto più da Meissonier che dall'Impressionismo, Favretto si volge infatti a una pittura di genere in cui coniuga il gusto antiquario della ricostruzione scenografica con il recupero della tradizione veneta, in particolare del Tiepolo. Riprova del successo di pubblico di questi soggetti "bozzettistici" sono le numerose riproduzioni oleografiche. Per la pittura di paesaggio, esclusa dai premi in denaro, la giuria di Torino attribuisce un riconoscimento di merito a quasi tutti gli artisti partecipanti in rappresentanza delle scuole regionali: dai lombardi Mosè Bianchi e Filippo Carcano, ai napoletani Santoro e Cortese, al veneto Ciardi, al piemontese Calderini, con l'esclusione del maestro di quest'ultimo, l'ormai vecchioFontanesi, nonché degli artisti toscani "dissidenti". Lodi particolari vengono rivolte a due artisti pittoricamente assai diversi, ma accomunati dal successo di pubblico e di mercato: De Nittis e il napoletano Morelli. In Giuseppe De Nittis (che, si era stabilito a Parigi fin dal 1871) si vuole premiare il vincitore dell'Esposizione Universale di Parigi del 1878, il rappresentante dell'arte italiana all'estero, mentre DOMENICO MORELLI (1823-1901), che espone quattro opere diverse per qualità e per tema, è insignito di un apposito diploma d'onore, il "Gran Diploma di Gran Maestro", quale caposcuola dell'arte italiana degli anni risorgimentali Nella sezione della scultura il regolamento prevedeva riconoscimenti solo alle opere in gesso e in marmo, escludendo dalla competizione artisti come Vincenzo Gemito, che aveva esposto unicamente bronzi. Le opere premiate dalla giuria ripropongono il gusto classicheggiante di soggetti tratti dalla storia romana, in un vago linguaggio purista: per esempio Soggetto romano o Trionfo di Germanico di Jerace, Cum Spartaco pugnavi! di ETTORE FERRARI (1845-1929,) e il Combattimento del Reziario col Mirmillo-ne di Maccagnani. I prototipi di tale rivisitazione della storia romana sono il dipinto Pollice verso del francese J.-L. GÉROME (1824-1904) e la sua versione scultorea II gladiatore esposto a Parigi nel 1878. Nonostante in queste opere realismo e visione storica convivano con un implicito richiamo alla "terza Roma", le scelte degli artisti mostrano l'effettivo disimpegno ideologico e mirano soprattutto al successo di pubblico. Così la scultura traduce in immagini edulcorate e, nel caso di soggetti femminili, sottilmente erotiche, una serie di temi di apparente ispirazione storica. Il gesso di ACHILLE D'ORSI (1845-1929) Proximus tuus suscita invece una vivace polemica nella quale si intrecciano valutazioni estetiche e interpretazioni etico-sociali. D'Orsi, che già nel 1877 a Napoli aveva esposto i Parassiti - due antichi romani ubriachi -, in Proximus tuus ritrae un contadino, abbandonato a terra, con la zappa tra le mani. Il gesso è subito considerato un'o-pera di protesta, intrisa di contenuti politici: "... è uno zappaterra stanco morto. L'espressione non è di una miseria che ti fa versare una pietosa lacrima e asciugarla dolcemente...; è la dichiarazione energica di un peccato sociale orribile di un'ingiustizia colossale". In conclusione, l'Esposizione del 1880 dimostra quanto la cultura italiana ufficiale, "di Stato", fosse tendenzialmente accademica e incapace di condurre un'intelligente politica di promozione artistica. Tra le varie scuole regionali, che (come quella napoletana) testimoniano a Torino la loro vitalità, i macchiaioli toscani risultano i più gravemente penalizzati dalla giuria e dalla critica. Il dipinto di Fattori, II quadrato del 49mo Reggimento fanteria a Villafranca, che celebra il valore del giovane re Vittorio Emanuele, passa sostanzialmente inosservato; la scultura La madre di Cecioni (fig. 399) una robusta contadina che tiene in braccio il proprio figliolo, viene giudicata dalla critica "volgare" soprattutto per le scarpe, realisticamente sformate e slacciate. Cecioni, deluso riferisce: "... il convenzionalismo accademico... interviene tuttora alle esposizioni, e ... in quella di Torino ha, per disgrazia dell'arte, trionfato". Questo miope atteggiamento della giuria e della critica risulta oggi sconcertante, così come l'esclusione da ogni riconoscimento dello scultore napoletano Vincenzo Gemito, una delle maggiori personalità del secolo. Roma 1883. Nel 1883 l'Esposizione Internazionale d'arte si svolge a Roma che, con il palazzo di Pio Piacentini,ne diviene sede unica e permanente. L'Esposizione mostra ancora una volta come l'arte ufficiale privilegi la pittura di storia, nel vano proposito di realizzare una lingua comune. Vivaci consensi ottengono tuttavia le scuole regionali: "... siamo tutti italiani, ma non c'è potenza di patriottismo che possa distruggere certe caratteristiche fondamentali che impediscono al Romagnolo di avere la stessa indole del Veneziano... le diversità di carattere risultanti dalla stirpe indigena ... hanno le loro manifestazioni anche nell'arte"
(L. Chirtani, Album Ricordo dell'Esposizione, p. 2). Nella pittura trionfa così l'abruzzese FRANCESCO PAOLO MICHETT1 (1851-1929) con II Voto definito da Chirtani il quadro più importante della mostra. "... Il quadro è grande, con figure al vero... Rappresenta della gente di campa-gna, uomini e donne, che nella navata e mezzo d'una chiesa in Abruzzo, strisci sul pavimento, leccando la terra, sino a. un busto di Santo decorato a sbalzo pi-grande del vero, in argento e deposto terra in fondo alla navata verso l'altar maggiore, per baciarlo e abbracciarle Quella testa di Santo è baciata con tam furore da quei pellegrini, da restarne fé riti e da lasciar tracce di sangue sui ".. neamenti metallici e lustranti. Dipin: da maestro, degno di figurare in un mu seo d'arte accanto alle opere de' grane pittori italiani e spagnoli... il Voto... è 1 più fremente espressione del fanatismo religioso, e mette a nudo una piaga de. l'Italia meridionale. La pittura è magi strale..." (L. Chirtani, Cronaca dell'Esposizione del 1883, Roma, 1883). Michetti proseguirà anche negli ar.-successivi nell'evocazione delle super suzioni contadine (fig. 401) awalendcs spesso del mezzo fotografico, ma forzar, do resa scenica e mimica dei personaggi per provocare l'intensa partecipazioni emotiva dello spettatore. Nella stessa Esposizione si inneggia a ritorno di ANTONIO MANCINI (1852-193C fig. 402) e alla vivacità della scuola napoletana, mentre esordiscono artisti dei la nuova generazione come MARIO DE MA RIA (1852-1924), il giovane GIULIO ARISTIDE SARTORIO (1860-1932) che espone L. Malaria e ACHILLE VERTUNNI (1826-8" con un'opera di paesaggio. Milano 1891 e 1894. A Milano ne 1891 si allestisce la prima Triennale e Brera, che si dimostra importante sotr: diversi punti di vista. Da un lato, si vuole potenziare e rilanciare l'istituzione bra: dense nell'ambito culturale cittadine dall'altro ci si propone di associare '.: manifestazioni artistiche allo svilupp: industriale e commerciale della città; ne 1894, infatti, la seconda Triennale fan parte delle "Esposizioni Riunite d'arte industria e commercio". Il salto di qualità della Triennale dei 1891 si esprime con il superamento delle correnti preoccupazioni per uno nazionale" da parte del comitato ordinatore: accanto alla tradizionale pittura d: storia e di paesaggio, infatti, viene esposto un gruppo di opere che presentar.: elementi tecnici e formali innovativi. 5 tratta di tele "divisioniste": la Materni^ di GAETANO PREVIATI (1852-1920), le DU-: madri di GIOVANNI SEGANTINI (1858-99\ l'Alba di ANGELO MORSELLI (1853-1919 Voratore dello sciopero di EMILIO LOXGON: (1859-1932), Piazza Caricamento di PliNIO NOMELLINI (1866-1943) e alcuni piccoli paesaggi di VITTORE GRUBICY (1851-1920, fig. 403).Queste opere sollevano scandalo e vengono duramente criticate da parte della stampa. In tale occasione gli scritti di Grubicy difendono apertamente la pittura divisionista e soprattutto l'opera di Previati. In particolare, nel suo saggio Tendenze evolutive delle arti plastiche, pubblicato nel 1891 in "Cronaca d'Arte", Grubicy stabilisce un legame tra il divisionismo italiano e la cultura tardo-romantica, specie quella degli scapiglia:! (fig. 404).
Egli sostiene che idee, sentimenti, emozioni proprie della Scapigliatura hanno trovato nella divisione del colore una piena e moderna soluzione "ideista". Tale definizione è certamente ispirata dalla poetica simbolista che in quegli anni si afferma in tutta Europa.Tuttavia , le opere divisioniste esposte a Brera nel 1891 appaiono eterogenee per tecnica e per contenuti. Infatti, l'atmosfera nebbiosa dei malinconici e delicati paesaggi di Vittore Grubicy è ottenuta con una rete fittissima di minuscoli tocchi di colore di tonalità basse, interrotta solo da poche pennellate di colori complementari. Un quadro di forte carica naturalistica come Le due madri di Giovanni Segantini è costruito mediante l'accostamento di filamenti di colori non sempre complementari, mentre nella Maternità, interpretata in modo decisamente simbolista. Gaetano Previati utilizza rigorosamente colori complementari. Altrove, la tecnica dei puntini serve l'impegno sociale e politico, come nell'Alba di Angelo Morbelli o ne L'oratore dello sciopero e ne La piscinina di Emilio Longoni.della Esposizione, p. 49). Un'aspra polemica coinvolge le già citate tele di Longoni che sono oggetto di critiche, non solo per la tecnica divisionista, ma soprattutto per la natura politica dei soggetti trattati. Prendendone le difese, Gustavo Macchi sottolinea la novità introdotta dall'Oratore dello sciopero di Longoni (fig. 405) che "tenta problemi nuovi di pittura per riassumere in una figura uno dei grandi problemi nuovi della società" (Cronaca dell'Esposizione, 11 giugno 1891, n. 11). Nella seconda Triennale del 1894 farà la sua comparsa GIUSEPPE PELLIZZA DA YOL-PEDO (1868-1907) che espone Speranze deluse attirando l'attenzione di Segantini. Da questo momento il Divisionismo può dirsi il movimento di punta della pittura italiana, con sviluppi che travalicano l'ambito milanese, coinvolgendo per esempio a Roma Giacomo Balla e, fuori d'Italia, soprattutto il gruppo della Secessione Viennese. Venezia 1895. Questo clima di apertura troverà un riflesso nelle nuove istituzioni. Nel 1895 ha luogo a Venezia la prima Biennale d'Arte Internazionale, luogo d'incontro e confronto tra le novità europee. L'idea di una Esposizione Internazionale artistica, da tenersi ogni due anni nella città di Venezia, viene concepita durante estemporanei convegni di artisti e amatori d'arte nelle salette del Caffè Florian. Tra questi vi è Riccardo Selvatico, sindaco di Venezia, al quale si deve la proposta della manifestazione nel 1893, in occasione delle nozze d'argento di Umberto e Margherita di Savoia. La prima Biennale si inaugura nel1895 nello spazio verde dei Giardini di Castello, parzialmente recintati e predisposti attraverso la ristrutturazione di alcuni edifici preesistenti che diventano sede del primo palazzo dell'Esposizione. In seguito, durante il primo decennio del Novecento verranno realizzati i padiglioni stranieri. Lo scopo della manifestazione è quello di rilanciare, da un lato, Venezia come centro turistico e culturale a livello internazionale e, dall'altro, di offrire una panoramica il più possibile ampia e aggiornata sulle novità europee, nonché di dare agli artisti italiani una qualificata sede espositiva: "... una Mostra internazionale dovrà attirare maggiormente il pubblico con la fama degli illustri stranieri che vi concorreranno, porgerà a tutti gli intelligenti che non sono in grado d'intraprendere lunghi viaggi il modo Una prima risposta veniva dalla fondazione della rivista "Emporium", avvenuta a Bergamo già nel 1895, sull'esempio della rivista inglese The Studio". Tuttavia la seconda Biennale ha un ulteriore merito: la giuria propone, infatti, la conversione dei premi in acquisti "a beneficio delle pinacoteche nazionali e locali". Nello stesso anno 1897 il principe Giovannelli fonda la Galleria d'Arte
Contemporanea, offrendo a Venezia e agli artisti, una concreta possibilità di trarre vantaggio dall'iniziativa della giuria.
Dal 1898 un altro spazio espositivo funge da contraltare alla Biennale veneziana: la duchessa Felicita Bevilacqua la Masa dona alla città di Venezia il suo splendido palazzo sul Canai Grande, Ca' Pesaro, per fame sede di mostre e di studi a favore di giovani artisti sprovvisti di mezzi economici. In tale sede, nel 1902, viene ospitata la Galleria d'Arte Moderna, cioè quel primo nucleo dovuto, come si è visto, alla donazione del principe Giovannelli. Le edizioni successive della Biennale, a partire dal 1899, sollevano una serie di critiche che ne evidenziano alcuni limiti.
Una critica aggiornata, come quella di.Vittorio Pica, fin dall'inizio aveva segnalato la scarsa presenza degli impressionisti e, in generale, delle opere francesi: questo fatto ribadisce la propensione di fondo della manifestazione veneziana verso il Simbolismo mitteleuropeo più vicino all'arte ideista italiana. Tutte queste iniziative, dalla Biennale a Ca' Pesaro, contribuiranno alla formazione di quei giovani che saranno protagonisti, nel primo decennio del Novecento, dell'Avanguardia artistica italiana. Esemplare sotto questo profilo, a pòchi anni dalle opere futuriste, il Canai Grande (1907, fig. 408) di Umberto Boccioni che, dipinto con tecnica divisionista e ispirato ai modelli di Paul Signac (presenti alla Biennale del 1907), costituisce una delle opere più commentate e discusse dell'esposizione di Ca' Pesaro.
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