Dei grandi maestri dell’arte, degli spiriti innovatori, è un po’ come per la musica, non se ne ha mai abbastanza. Così per Arnolfo di Cambio. Fino all’otto gennaio, a Perugia-Orvieto sono di scena le modernissime, classiche sculture del 1281, gli “Assetati”, naufraghi dispersi della fontana del Grifo e del Leone. Nel 2004, a San Giovanni Valdarno, era stato celebrato con una triplice mostra l’Arnolfo architetto urbanista (Vasari gli attribuisce il progetto proprio di San Giovanni, uno dei modelli di progettazione urbana medievale che influenzerà l’urbanistica fino ai giorni nostri). Adesso Arnolfo a Firenze dove ha concluso carriera e vita,
“Arnolfo, alle origini del Rinascimento fiorentino”, dal 21 dicembre al 21 aprile 2006 al Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore. Una mostra che sottopone alla massima violenza, sino all’abbattimento, una delle immagini più radicate nel nostro immaginario e cioè la facciata di Santa Maria del Fiore, della cattedrale di Firenze, legata indissolubilmente al campanile di Giotto. Una violenza che però è un “atto di risarcimento morale” nei confronti di Arnolfo.
Si butta giù quella facciata (in verità neogotica, costruita nel 1871-87 ) per rimettere al suo posto la facciata progettata e costruita da Arnolfo a cominciare dal settembre 1296, avendo in mente i giganti gotici di Francia, conosciuti probabilmente con viaggi (non documentati), o attraverso i disegni e soprattutto le oreficerie e in mostra c’è proprio un reliquiario di un orafo francese che ha la forma di un edificio religioso. Una facciata ricca di statue, piena di porfidi rossi e di mosaici, con effetti di colori ai quali Firenze legata al bianco e verde del Battistero non era abituata e “che rifiutò”. I mosaici, che ricordavano troppo la Roma papale, Firenze preferiva tenerli all’interno delle chiese.
Facciata incompiuta (circa 20 metri in altezza, i due terzi del totale), costruite due sole campate delle tre ampie navate previste, ma Santa Maria del Fiore consacra la fama di Arnolfo al punto che nel 1300 il governo fiorentino lo esonera dal pagamento delle tasse, uno dei più “costosi” attestati di riconoscenza pubblica. Santa Maria del Fiore, Palazzo Vecchio, la sistemazione esterna del Battistero, delle piazze di Santa Croce e di Santa Maria Novella sono le principali fabbriche che gli vengono attribuite. “Arnolfo inventa la città moderna con i monumenti simbolo - commenta Antonio Paolucci, soprintendente del polo museale di Firenze -. Suo il piano regolatore di Firenze con la terza cerchia delle mura e la città ci metterà 500 anni per arrivare a quelle mura. Con Arnolfo si fa urbanistica del territorio, si creano le ‘Città nuove’, le ‘Terre nuove’ del Valdarno Superiore (San Giovanni, Castefranco di Sopra, Terranuova Bracciolini) e Colle Val D’Elsa, il paese natale”. D’altra parte - continua con intimo entusiasmo Paolucci -, Arnolfo vive in una Firenze “che ha cinque volte la popolazione di Roma, due volte la popolazione di Londra, ed è pari a quella di Parigi e Milano. Una città che attira talenti e maestri da tutta Europa, che vive una economia globalizzata perché è sul fiorino, molto più saldo del dollaro attuale, che si valuta la lana gallese, il grano ucraino, lo stagno” o qualsiasi altra materia prima. Qui è in ebollizione la nuova classe mercantile, la borghesia, il capitalismo.
architetto-urbanista Arnolfo e architetto-scultore. Lo scultore che sa lavorare anche con “lastre modulari di 25 centimetri di spessore, pur dando il senso di una statua quasi completa, cioè lo sviluppo, la rotondità, la tridimensionalità” aggiunge Enrica Neri Lusanna, che insegna storia dell’arte medievale all’università di Firenze e che ha curato mostra e catalogo: un monumento di completezza, peso (tre chili), pagine (567), edito da Pagliai Polistampa. Arnolfo era padrone della “tecnica e dell’invenzione, artigianalmente bravo come lo doveva essere il capocantiere” di quei tempi e per risolvere il maggior problema di quei tempi, materia prima-trasporto. Per quei tempi Arnolfo è “troppo poco passionale”, razionale. La profonda unità dei suoi gruppi “non è richiamata dai gesti, ma da elementi formali allusivi e simbolici”. L’eredità di Arnolfo, dell’ architetto-scultore, fu raccolta e sublimata da Giotto, dalla sua invenzione del vero collocato nello spazio reale, e dopo oltre un secolo si ritrova nel Brunelleschi, in Donatello.
Della perduta facciata di Arnolfo, capolavoro smembrato e disperso nel 1586 ad opera di Ferdinando I de’ Medici per far spazio ad una nuova cattedrale, si tratta di una ipotesi di “ragionata ricomposizione”. La ricomposizione, sia pure parziale, delle tre lunette e dei riquadri istoriati della basilica, con marmi e mosaici scoperti negli anni Settanta del Novecento sotto al pavimento della cattedrale, finiti nei depositi del Museo dell’Opera e che soltanto adesso sono stati interpretati e capiti.
La mostra di Firenze
, conclude le celebrazioni del VII centenario della morte di Arnolfo messe a punto da un comitato nazionale. Siccome non si conosce la data di morte (e neppure quella di nascita) le celebrazioni “vanno avanti per alcuni anni”.
Se gli anni della nascita sono collocati fra 1240 e il ‘45, la morte lo è tradizionalmente fra il 1302 e il 1310. Il fatto è che il privilegio di non pagare le tasse è stato, per gli storici dell’arte, un disastro “perché ha cancellato Arnolfo” dagli archivi. Ma qualche passo avanti si è fatto.
Enrica Neri Lusanna spiega che in una delle lunette laterali della facciata ricomposta, una testa di Cristo è pesantemente lavorata al trapano, chiara opera di un collaboratore, accanto a sculture di mano di Arnolfo. Siamo nel 1301 e allora si potrebbe concludere che il maestro sia morto in quell’anno. Viceversa i pagamenti per la costruzione della cattedrale continuano fino al 1304, nonostante la scomparsa di tutti i più ragguardevoli sostenitori di quell’impresa. Si può pensare allora che o Arnolfo sia morto nel 1304, o che i progetti e i piani di lavorazione siano stati da lui così ben preparati da consentire i pagamenti e allora con la data di morte si torna indietro al 1301-02. Sepolto a Santa Reparata, la chiesa contigua alla erigenda cattedrale che lui stesso aveva cominciato a smantellare per far posto alla sua facciata e alla sua cattedrale, conosciamo il giorno e il mese della morte di Arnolfo. L’anno era a discrezione di chi registrava, mentre era fondamentale il giorno per la celebrazione delle messe di suffragio. Di Arnolfo si ignora tutto della vita, se si sposò, ebbe figli. Unica certezza, una madre di nome Perfetta (che non fa sperare nulla di buono nella vita di Arnolfo).
Le opere in mostra sono 90, in grande maggioranza sculture, le più importanti restaurate. Con una concentrazione mai vista di opere completamente di Arnolfo (13) e di Arnolfo e bottega o aiuto o collaboratore (16), di seguace di Arnolfo (sette statue di apostoli). Di Arnolfo e aiuti c’è anche una Madonna col Bambino in trono, con il volto e la mano destra del Bambino di restauro: “Ma è un’opera che non si vedeva dagli anni Trenta - spiega Enrica Neri Lusanna -. Uscita da una collezione privata, milanese”.
Fra gli altri autori, Nicola Pisano nella cui bottega operò Arnolfo: un’ acquasantiera alta 1,3, con il fusto costituito da tre figure femminili in piedi, di schiena le une contro le altre, a formare un gruppo solo; sulla testa delle cariatidi il bacino con tre mezzi busti femminili in alto rilievo. Della cerchia di Giovanni Pisano, una delle statue più impressionanti della mostra: l’angelo in legno a più colori, alto 111 centimetri, che regge la testa del Battista dalla capigliatura e barba lunghe e molto fluenti.L’iconografia della scultura è un caso unico nella scultura italiana. Di Tino da Camaino ci sono due angeli in rilievo.
Rari i dipinti, ma sono due Giotto. Dagli Uffizi è uscito il celebre “Polittico di Badia” (Madonna e Bambino fiancheggiati da quattro santi) testimonianza del “momento gotico del maestro”. Il polittico ha una tipo di “carpenteria” (le cornici a cuspidi in cui sono dipinti Cristo benedicente e angeli) che Giotto non userà più. L’altra tavola è una Madonna con Bambino su trono di marmo, e due angeli, più volte mutilata nelle dimensioni, in ogni caso considerata fondamentale e messa in rapporto con le architetture di Arnolfo.
Un disegno, acquerello marrone, di Alessandro Nanni (copia da Bernardino Poccetti), raffigura la facciata di Arnolfo fino al dicembre 1586 quando iniziò la demolizione del paramento architettonico e decorativo gotico, che si concluse nel giugno 1587. Fu Bernardo Buontalenti a consigliarne l’eliminazione al granduca. Anche un dipinto murale di Poccetti raffigura la facciata di Arnolfo. Sempre lontane dalla normale pazienza umana le oreficerie del tardo Duecento fiorentine, toscane e francesi. Curioso il manoscritto “Necrologio di Santa Reparata” che registra la morte di Arnolfo come “primo architetto di Santa Maria del Fiore” insieme ad altri personaggi di cui si ricorda Dante nella “Commedia”, come il capo ghibellino Farinata degli Uberti, il poeta Guido Cavalcanti, Gianni Schicchi.
Momento fondamentale, anche fisico, della mostra è la grande sala centrale che riunisce quello che non era mai stato riunito di Arnolfo. E si comincia con una sorpresa che dice dell’abilità straordinaria, appunto artigianale, di questo grande maestro. Quasi che si sia voluto divertire.
Sulla sinistra è la statua, alta 2,80, di papa Bonifacio VIII con una altissima, affusolata, tiara in testa, statua che era anche lei sulla facciata (con qualche dubbio). Anche la Neri Lusanna vuole divertirsi: “Non è una statua scolpita, ma messa insieme con 16 pezzi tenuti da perni metallici e stuccati. Unico monolito la testa”.
Per esempio il busto fino al livello delle ginocchia è una lastra. Spalle e torso danno “l’effetto del tutto tondo”, ma sono due blocchi scolpiti indipendentemente e uniti fra loro. Può anche darsi che Arnolfo abbia avuto dei problemi pratici per adottare questo metodo: la fretta del lavoro, un cambiamento in corso d’opera, o abbia proprio voluto dare una prova di come lavorava.
Accanto a Bonifacio, la statua onoraria (alta due metri) di re Carlo d’Angiò al cui servizio era Arnolfo. Viene dai Musei Capitolini e la sua presenza in mostra è di per sé un avvenimento: è stata infatti tolta dalla nicchia ricavata nel muro della Sala degli Orazi e Curiazi dove venne collocata agli inizi del Novecento, e restaurata (da Giovanna Martelletti) per la mostra. Nell’occasione ha riconquistato la punta del naso spezzatasi in data imprecisata. Si è anche scoperto che il re doveva avere le vesti tutte colorate: clamide azzurra dal risvolto su toni di verde, una veste ancora azzurra e oro (probabilmente una trama di gigli dorati), calzari rossi. A questo punto una ritoccatina al volto che era color carne e i capelli dorati, aggiunte che qualcuno ha cercato di eliminare lasciando segni vistosi.
La statua è “non finita” non solo nelle parti posteriori non visibili, ma in uno dei due leoni che fiancheggiano il re. La statua, definita nella scheda da Valentino Pace “di sottile spessore e tersa essenzialità”, doveva appoggiarsi ad una parete arcuata, in un luogo non individuato che poi è stato smontato (statua compresa) perché nella Roma del papa l’aria per un re era cambiata.
Sulla parete lunga sono le tre lunette della facciata “ricomposte dalla Neri Lusanna e dall’architetto Silvia Moretti. La prima a sinistra era quella collocata sul portale di sinistra della cattedrale. I pezzi superstiti sono la Madonna della Natività con due angeli adoranti “arrampicati” sulla curvatura di un arco, in alto a destra e a sinistra. Sono mutilati e hanno sofferto di precedenti restauri in mano ad antiquari (come la Madonna). Sono più altorilievi che statue. Potrebbero essere spostati, nella stessa posizione, nella terza lunetta. Nella Madonna Arnolfo realizza l’ “inganno tridimensionale di una figura che ha uno spessore soltanto di 25 centimetri. Stonda, infatti, soltanto la testa e parte del braccio, in un procedimento che sarà fatto proprio da Donatello” spiega la Neri Lusanna. Fuori della lunetta viene collocato un marmo di 104 per 60 centimetri, con un gregge su due file, che faceva parte dell’ “Annuncio ai pastori”.
La lunetta sopra al portale centrale è quella con il maggior numero di figure riunite. Due angeli reggicortina in alto, un angelo in altorilievo, la Madonna col Bambino in trono e uno sfondo di mosaici, con ai fianchi Santa Reparata e San Zanobi, patrono di Firenze. Per la Madonna e Bambino Arnolfo ha usato un blocco di marmo che solo all’altezza dei piedi è completato da un altro blocco più profondo per ricavare il cuscino. Si tratta della celebre “Madonna con gli occhi di vetro” ( di vetro o calcedonio, non è stato ancora precisato) che richiamano i busti romani, di marmo e di bronzo con occhi in pasta vitrea, avorio od osso.
Certo la Madonna con quegli occhi doveva sembrare una apparizione all’apertura della cortina, ma questa meraviglia fu causa del suo abbandono. La statua era sempre più venerata da fedeli e pellegrini con grande preoccupazione delle autorità escclesiastiche in epoca di controriforma (dopo il Concilio di Trento del 1563). La statua venne sempre di più criticata, emarginata e finì nei depositi. La statua è ora considerata come il principale riferimento per la comprensione dell’opera di Arnolfo. La “grande” specialista Romanini vi riconosceva un’energia che non è dettata dai gesti, ma scaturisce dalla stessa “tessitura” delle linee. Anche la Santa Reparata, che per spessore può considerarsi un altorilievo, è scolpita in un unico blocco non lavorato posteriormente. Ha tracce estese di rilavorazione sulla testa, sul collo e sul vaso che tiene in mano, il che fa pensare ad un cambiamento iconografico. San Zanobi è lavorato su di una lastra di spessore limitato anche se Arnolfo ottiene “un effetto statuario e tridimensionale”. L’artista ne accentua il carattere pastolare attraverso i vari attributi e “un’espressione mite e accostante”.
La terza lunetta, sopra il portale di destra, deve ricorrere a calchi in gesso. Le figure centrali della “Dormitio” della Vergine con ai piedi un apostolo, e i busti sovrastanti di altri due apostoli, sono conservate nei Musei di Berlino dove un incendio nel 1946 li ha ridotti allo stato cristallino, intrasportabili. Sulla sinistra, in piedi, è un apostolo (forse San Pietro) con varie perdite e segni di lavorazione. Sulla solita lastra da 25 centimetri - dice la Neri Lusanna - questa è “una delle sculture più intense di Arnolfo nell’espressione pateticamente concentrata nel volto e nel dinamismo del corpo proteso in avanti”. Piena della “carica sentimentale” del periodo tardo. Al centro della lunetta, scolpite in un unico blocco, sono la testa del Cristo e dell’anima, dell’ “animula”, della Vergine. Il modo “ossessivo” e “incoerente” del trapano su capelli e barba, nel tentativo di “pittoricismo” assegna questa parte ad una aiuto del maestro. In quell’anno, 1301, Arnolfo potrebbe essere già morto.
La ricomposizione della facciata prosegue con frammenti (quelli appunto trovati sotto il pavimento della cattedrale) del fantasmagorico dossale del trono della Vergine (marmo corallino con incrostazioni a mosaico in vetro dorato e policromo), frammenti di stipiti, di un clipeo con testa di putto, cornici con decorazione, con volute, membranature architettoniche, con mosaici.
La mostra di Arnolfo si chiude idealmente con il pezzo scelto per la sua copertina e che viene da Londra, dal Victoria and Albert Museum. Il rilievo (72 per 120 centimetri) è l’ Annunciazione-Incarnazione con al centro un tempio vuoto (simbolo del corpo di Cristo) che qualcuno ha tentato di riempire inutilmente. In questo caso le nostre preferenze vanno all’angelo e al suo dinamismo.
La mostra ha il biglietto unico di ingresso con il Museo dell’Opera del Duomo, cioè il museo, collocato proprio alle spalle della cattedrale, che raccoglie le testimonianze delle vicende secolari di Santa Maria del Fiore. Dalle carrucole alle piattaforme per innalzare i muri, ai modelli storici, alle opere d’arte che ne sono state espulse (per esempio dal tornado barocco del 1688 per il matrimonio di un granduca), alle opere d’arte messe in salvo dall’inquinamento. Quel biglietto rappresenta i dieci euro meglio spesi. Le emozioni cominciano dal cortile coperto. Qui Michelangelo ha scolpito il “David”. Qui sono esposte provvisoriamente, in teche climatizzate, nove delle dieci formelle dorate della “Porta del Paradiso” del Ghiberti che si possono esaminare a pochi centimetri di distanza. Qui sono le gigantesche statue del “Battesimo di Gesù” di Andrea Sansovino. Alla fine di una scala vi aspetta la piramidale “Pietà” che Michelangelo scolpì ad 80 anni mettendo la sua faccia al vecchio Nicodemo. Nella grande sala, in alto, le due straordinarie cantorie, di Luca della Robbia e di Donatello, di marmo, tessere vitree (come Arnolfo) e teste di bronzo. In una stanza la “Maddalena” in legno dipinto e dorato di Donatello. Ancora, la teletta d’argento dipinta da Annibale Carracci e applicata a ricamo sulla pianeta di un cardinale. E poi gli originali delle formelle (Andrea Pisano, Luca della Robbia, eccetera, eccetera) che dal 1965 sono state tolte dal campanile di Giotto. Stringe il cuore vederli lì, con le copie sul campanile, ma le terribili, compatte chiazze nere che ottenebrano molte di loro, sono una condanna per la nostra epoca.
(Goffredo Silvestri)