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FOTO PRESENTI 6 |
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Dal Danubio al Tevere Il soggiorno romano d'un gruppo di artisti ungheresi nella prima metà del '900
KORB ERZSEBET RIVELAZIONE
olio su tela 152x146 Galleria nazionale di Ungheria, Budapest
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Dal Danubio al Tevere Il soggiorno romano d'un gruppo di artisti ungheresi nella prima metà del '900
SANDOR BASILIDES DONNA SEDUTA
coll.priv.
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Dal Danubio al Tevere Il soggiorno romano d'un gruppo di artisti ungheresi nella prima metà del '900
ISTVAN SZONY BAMBINI , OLIO SU TELA 85X170 COLL.PRIV.
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Dal Danubio al Tevere Il soggiorno romano d'un gruppo di artisti ungheresi nella prima metà del '900
VILMOS ABA-NOVAK STRADA ITALIANA , OLIO SU TELA 60X50 COLL.PRIV.
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Dal Danubio al Tevere Il soggiorno romano d'un gruppo di artisti ungheresi nella prima metà del '900
ENDRE DOMANOVSKY 190X85 COLL.PRIV.
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Dal Danubio al Tevere Il soggiorno romano d'un gruppo di artisti ungheresi nella prima metà del '900
ERZSèBET KORB AUTORITRATTO OLIO SU TELA 80X60 COLL.
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Citiamo per tutti un genio: Albrecht Diirer (Norimberga 1471-1528), figlio di un orafo tedesco immigrato dall'Ungheria, che soggiornò in Italia - e in specie a Venezia - due volte: a studiare Andrea Mantegna e Giovanni Bellini e lasciarvi capolavori, piccoli e grandi, come la pala della Madonna del Rosario per la chiesa di San Bartolomeo, che ora si trova nella Pinacoteca di Praga.
E poi, dietro Albrecht Dù-rer, un pellegrinaggio infinito, in una sorta di Grand Tour compiuto non più per vezzo ma per necessità interiore e culturale. Gli artisti provenivano dalla Francia dall'inghilterra e dall'Ungheria: Paese, quest'ultimo, che ebbe a Roma, a partire dal 1928 fino a! 1940 circa, la sua attiva e fruttuosa "Római Iskola", un movimento artistico composto da circa 130 pittori e scultori. E con risultati assai interessanti, e curiosi, e diciamo anche belli, per il modo con cui la lezione italiana di quei tempi veniva considerata e appresa, e poi senza troppe scosse, mutuata e adattata ai gusti e alle necessità patrie. Certo, se si pensa a quanto era appena avvenuto nei decenni precedenti (nella stessa Italia con il Futurismo ad esempio, e in Europa con il Cubismo, la Secessione, il Surrealismo e quant'altro), si resta alquanto perplessi nel vedere che i principali punti di riferimento per quei giovani apprendisti ungheresi erano il Novecento e il Realismo magico nostrani.
Perplessi, ma anche orgogliosi nel constatare
che maestri come Mario Sironi, Giorgio De Ghirico, Felice Carena, Felice Casorati, Cagnaccio di San Pietro, Achille Funi, Ubaldo Oppi e balda compagnia potevano avere, come avevano, maggior peso di tanti altri inventori forestieri.
La "Római Iskola", dunque, ebbe origine nel 1927, allorché il governo ungherese acquistò, in seguito a un amichevole accordo con Benito Mussolini, il romano palazzo Falconieri per installarvi l'Hungaricmn O Hrgium, del quale venne nominato Jkettae Tibor Gerevich, autorevole storico e studioso deTarte ungherese; e lì, Tanno seguente, ebbe la soa sede una Scuola d'arte, la "Római Iskola"
appunto, da far frequentare dai migliori artisti ungheresi, o comunque da quelli che una apposita commissione statale riteneva meritevoli di perfezionamento, un volume di Julianna R Szùcs, intitolato A Roma
Iskola e pubblicato nel 1987, vengono riportati i nomi di alcuni artisti ospiti nei vari periodi così sappiamo che negli anni 1928-30, cioè >ertura, erano presenti Vilmos Aba-Novàk, ferenc Deéd-Dex, Hajnalka Fuchs, Dezsò Erdey, iàn Istókovits,Kalman Istokovits Livia Kuzmik e altri tre o quattro, che possono essere considerati i pionieri di questà sorta di esplorazione ambientale e di conquista culturale vissuta certamente con grande impegno, al di là dei risultati, che potevano essere di vario grado e interesse, tenendo conto precedente formazione, nonché della capacità individuale di assimilazione.Come si è visto, la Scuola ungherese di Roma iniziò la sua attività nel 1928, e cioè proprio nell'anno in cui ebbe la sua consacrazione la "Scuola Romana" formata da un gruppo di pittori (Scipione, Mario Mafai, Antonietta Raphael, Giuseppe Capogrossi e altri) che in nome di un Espressimo nostrano-locale si proponevano un'arte antinovecentista, o comunque diversa da quella dominante propugnata dai pittori dei movimentì prima ricordati, e portati avanti in particolare dalla musa mussoliniana Margherita Sarfatti. la quale dimostrò insieme al critico d'arte ugo nebbia, molta simpatia per le opere romane deegli artisti ungheresi.lo comprovano l'acquisto di dodici loro lavori da parte del duce nel 1930, il buon successo tributatogli in rassegne publiche, come la Biennale veneziana dello stesso anno, la Triennale milanese del 1936. Anche l'Osservqtore romano scrisse molto bene delle loro opere presentate in una esposizione padovana del 1933 (forse perché l'arte sacra vi era ampiamente affrontata). Nelle pitture e nelle sculture è facile riscontrare richiami e modi e colori sironiani, casoratiani e funiani: per questo motivo è possibile parlare spesso di un vero e proprio manierismo ungherese novecentista, tanto il punto di partenza è dichiarato, e tanto viene spontaneo il ricorrere " alla maniera di.."
Questo grazie anche al confronto visivo fatto nel libro di Julianna E Szucs, ad esempio, tra opere realizzate da Felice Carena e Istvàn Szónyi, Francesco Menzio e Jeno Medvczcky e così via; mentre altre opere dei nostri maestri sono riprodotte, senza confronto, quasi a far certa la paternità di quasi tutte le ricerche e i risultati ottenuti dagli artisti ospiti.In quasi tutti questi artisti magiari risultano evidenti un notevole impegno tecnico, una sensibilità coloristica e plastica particolare, un autentica partecipazione: sicchè può capitare che il seguace supera il maestro.Va detto anche che molti di questi artisti sentivano per tradizione l'arte sacra, ed infatti tornati in patria affrescarono e dipinsero chiese e cappelle
Verso il 1940 "A Roma Iskola" conobbe il tramonto.Cambiate le situazioni politiche molti tornarono in patria senza rimanere legati al gruppo, mentre lo stesso concetto di "Scuola di Roma " assunse una valenza negativa., ed alcuni artisti arrivarono addirittura a contestarne l'esistenza
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