27/11/2008 Nicolas Schöffer
Nato il 6 settembre 1912 in Kalocsa (Ungheria), ha vissuto a Parigi dal 1936, divenne francese nel 1948 e morì nel suo atelier di Montmartre, Villa des Arts,...»
25/01/2006 Il mormorio del Piave. La marcia notturna dei fanti. Il fragore sordo delle mitragliatrici. La polvere e il fango delle trincee. Il rito sanguinoso dell'assalto alla baionetta. Il sole, la pioggia, la...»
VAN GOGH UOMO CON LA PIPA Autoritratto, uomo con la pipa
Dimostrazione appassionata e brillante della fede di Van Gogh nell'uso dei colori (qui blu e arancione, verde e rosso), questo quadro si basa su di una composizione particolarmente efficace e trasforma in capolavoro un fatto di cronaca tutto sommato tanto sordido ed equivoco quanto commovente.
Il 23 dicembre 1889 Gauguin e Van Gogh hanno una violenta discussione. Gauguin va a dormire in hotel. Van Gogh resta solo e si taglia il lobo dell'orecchio sinistro. Lo avvolge con cura e offre questo regalo sanguinante a Rachel, prostituta a pensione in una casa di tolleranza, con questo bigliettino: “Eccoti questo, in ricordo di me”. Poi fugge e va a coricarsi. Panico. La mattina, il pittore, preso per pazzo, viene trasportato d'urgenza in ospedale dove resterà una quindicina di giorni. Gauguin, disperato, prende questo gesto come pretesto per allontanarsi da Arles e da Vincent.
Questo autoritratto, uno dei quarantatré dipinti da Van Gogh tra il 1885 e il 1889, rivela nello stesso tempo il suo pietoso stato di salute, la sua volontà di esagerare i tratti della propria personalità e le sue inesauribili risorse artistiche.
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VAN GOGH LA SEDIA DI VAN GOGH
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VAN GOGH RITRATTO DI JOSEPH ROULIN
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VAN GOGH TERRAZZA DEL CAFFè SULLA PIAZZA DEL FORUM
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VAN GOGH BARCHE
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VAN GOGH CAMPO DI GRANO CON AVVOLTOI Campo di grano con volo di corvi
Immense distese di grano si piegano sotto un cielo agitato o minaccioso. Uno stormo di corvi stilizzati, ridotti a pochi tratti, cerca fortuna. Il formato stranamente largo presenta, in primo piano, dei sentieri dalle diagonali divergenti, dipinti in giallo terreo e verde oliva. L'orizzonte rimane vago e i sentieri si perdono sin fuori dal quadro. La prospettiva abituale si rovescia, le linee di fuga partono dall'orizzonte per arrivare in primo piano, creando così una sensazione di inquietudine: dove stiamo andando?
Se lo spazio è di una grandiosa semplicità, la pittura provoca un effetto di turbamento. Le tonalità di blu del cielo formano una sola superficie. Il giallo viene separato in due. Il rosso dei sentieri si ramifica in tre diverse direzioni. Il verde dell'erba si divide in addirittura cinque parti. Ecco quindi tre colori primari ed uno complementare che controllano quasi tutta la tela. Vicino e lontano sono indistinguibili, la parte e il tutto si condensano e impongono un metodo di visione che precorre l'arte astratta nonostante il realismo di questa composizione. Per la potenza espressiva nonché per la sua qualità, questo capolavoro costituisce senza dubbio il testamento pittorico di Van Gogh.
Un “Campo di grano con allodola”, versione idilliaca dello stesso tema, è stata realizzata dall'artista due anni prima a Parigi, nel 1887.
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VAN GOGH GOVONI DI GRANO VICINO AD UNA CASCINA
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VAN GOGH RITRATTO
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VAN GOGH CAMERA DA LETTO
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VAN GOGH BARCHE SULLA SPIGGIA Barche di pescatori sulla spiaggia
Saintes-Maries-de-la-Mer Giugno 1888
Olio su tela; cm 65 x 81,5
Amsterdam, Rijksmuseum Vincent van Gogh
Vincent vide il Mediterraneo una sola volta, a Saintes-Maries-de-la-Mer, un villaggio della Provenza mèta di un ritrovo annuale di zingari, avvenimento a cui è ispirata la tela Bivacco di zingari, realizzata qualche tempo dopo. Van Gogh era partito in diligenza da Arles alle sette del mattino del 30 maggio 1888 e a mezzogiorno era nel piccolo paese. Vi rimase cinque giorni e in una lettera a Bernard così descrisse il luogo: «Sulla spiaggia perfettamente piatta, sabbiosa, piccole barche - verdi, rosso, blu - talmente graziose come forma e colore da far pensare a dei fiori». E così lo fissa in un disegno indicato come “Souvenir” e nel dipinto dai colori intensi e dalle linee decise, nitido come una stampa giapponese.
«Adesso che ho visto il mare qui, sono assolutamente convinto dell’importanza di stare nel Midi e di rendere tutto eccessivo, esagerando il colore»: è ciò che ricerca nell’altra marina realizzata a Saintes-Maries-de-la-Mer, oggi al Puskin di Mosca. Di questa mandò uno studio a Theo e uno schizzo a Bernard con delle note sul colore: una tavolozza molto vicina a quella che Vincent ritrovava in un dipinto di Delacroix della serie del Cristo sul lago di Gennesaret (1850-1855), descritto come «uno schizzo blu e verde con tocchi di rosso-violetto», da cui riprende anche l’orizzonte alto.
Le due marine del 1888 sono la realizzazione di un antico sogno di Vincent, che nel 1882, mentre faceva schizzi e studi a olio di paesaggi marini e della spiaggia di Scheveningen, scriveva: «Sabbia - mare - cielo - vorrei tanto poter esprimere queste cose a un certo punto della mia vita».
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VAN GOGH MANGIATORI DI PATATE Mangiatori di patate
Aprile 1885 Olio su tela; cm 81,5 x 114,5 Rijksmuseum Vincent van Gogh
il primo quadro fatto a Nuenen che van Gogh definisce «dipinto», in cui realizza il suo intento di essere un pittore di figure. Anche quando sarà a Parigi egli esprimerà in una lettera alla sorella Willemien la particolare considerazione che aveva per questo quadro: «Per quello che riguarda il mio lavoro, penso che il dipinto dei contadini mangiatori di patate, fatto a Nuenen rimane “après tout” il migliore di tutta la mia produzione».
Nel dipinto sono raffigurati alcuni contadini di Nuenen, la famiglia de Groot. Vincent in alcune sue lettere esprime ciò che intendeva raffigurare: «Ho cercato di sottolineare come questa gente che mangia patate al lume della lampada, ha zappato la terra con le stesse mani che ora protendono nel piatto e quindi parlo del lavoro manuale e di come essi si siano onestamente guadagnato il cibo»: una metafora che ripete la descrizione fatta da Sensiers dei contadini di Millet, «che sembrano dipinti con la terra in cui seminano».
Giunge alla stesura finale di questo quadro attraverso vari stadi: a marzo realizza un primo dipinto con quattro figure anziché cinque, di cui esistono vari schizzi. In aprile inizia lo studio per le varie figure, una serie di ritratti a mezzo busto, una specie di versione dipinta delle stampe pubblicate dalla rivista inglese “The Graphic” che avevano suscitato la sua ammirazione (Ritratto di Gordina de Groot). Alla metà del mese circa risale la prima versione del dipinto con cinque figure, oggi conservata a Otterlo, realizzata dal vero alla luce della lampada; da questa composizione realizzò una litografia che voleva offrire agli editori di “Le Chat Noir”. Mandò una copia della litografia a van Rappard, che in una lettera del 25 maggio così reagiva: «Sarai d’accordo con me che un’opera del genere non può essere considerata seria. Sai fare più di questo tu, per fortuna; e perché allora osservare e trattare il tutto in modo superficiale? Perché non si sono studiati i movimenti? Ora posano. Quella mano civettuola della donna dietro al tavolo è ben poco vera! E che rapporto c’è tra il bricco del caffè, il tavolo e la mano che posa sul manico? E in ogni modo quel bollitore che fa? Non sta in piedi, non viene tenuto in mano, ma che fa allora? E perché, quell’uomo sulla destra non può avere un ginocchio, né pancia né polmoni? O li ha nella schiena? E perché il suo braccio deve essere un metro più corto del normale? E perché gli manca la metà del naso? E perché la donna che gli sta vicino sulla sinistra deve avere per naso un manico di pipa con un dado? E osi, con questo modo di lavorare, richiamarti ai nomi di Millet e Breton? Dai! L’arte è troppo superiore, mi sembra, per trattarla in modo così negligente».
Il quadro definitivo, quello di Amsterdam, fu realizzato entro il mese di aprile «e quasi tutto a memoria», trovando una giustificazione a questo procedimento nelle parole di Delacroix, il quale aveva detto «che i dipinti migliori sono fatti a memoria: “Par coeur!”».
Van Gogh portò subito la tela ad Anton Kerssmakers, un suo conoscente di Eindhoven, pittore dilettante, perché voleva separarsene per non cedere alla tentazione di ritoccarla. Avrebbe voluto che il dipinto fosse messo in mostra da Arséne Portier, un mercante di Parigi conoscente di Theo, e aveva pensato che il modo migliore per presentarlo fosse in una cornice dorata, o su una tappezzeria dal «colore profondo del grano maturo», perché andava messo in risalto «situandolo su una colorazione dai profondi toni dorati o ramati».
Il 6 maggio il quadro partì per Parigi, ma i mercanti Portier e Serret criticarono i «toni troppo sfacciati e lucidi del verde». Vincent sapeva che la sua opera poteva non piacere: «Non sono del tutto convinto - scrisse a Theo - che debba piacere a tutti o che tutti lo ammirino subito [...]! E potrà dimostrarsi un vero quadro contadino. So che lo è. Chi preferisce vedere il contadino col vestito della domenica faccia pure come vuole. Personalmente sono convinto che i risultati migliori si ottengano dipingendoli in tutta la loro rozzezza piuttosto che dando loro un aspetto convenzionalmente aggraziato».
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VAN GOGH IL PONTE Il ponte di Langlois
Marzo 1888
Olio su tela; cm 54 x 65
Otterlo, Rijksmuseum Kröller-Müller
Giunto ad Arles alla fine di febbraio del 1888, van Gogh iniziò a esplorare il luogo e descrisse le sue prime impressioni in una lettera a Bernard del 18 marzo 1888: «Mio caro Bernard, avendo promesso di scriverti, voglio cominciare col dirti che il paese mi pare bello come il Giappone per la limpidezza dell’atmosfera e gli effetti di colore gaio. Le acque fanno nei paesaggi delle macchie di un bel smeraldo e di un blu ricco tal quale si vede nei “crepons”. I tramonti arancio pallido fanno sembrare blu il terreno. I soli sono di un giallo splendido. Eppure non ho ancora visto il paese nel suo splendore abituale dell’estate. Il costume delle donne è grazioso, e la domenica soprattutto si vedono sui viali delle combinazioni di colore molto spontanee e ben riuscite. [...] All’inizio di questa lettera ti accludo uno schizzo di uno studio che mi preoccupa, perché vorrei farne qualcosa: dei marinai che s’incamminano con le loro ragazze verso la città che staglia la singolare sagoma del ponte levatoio o contro un enorme sole giallo». È il primo accenno al Pont de Reginelle, sul canale che unisce Arles a Port-de-Buc, demolito nel 1935, e che fu il soggetto di vari dipinti risalenti a quel periodo.
La prima tela realizzata con il soggetto del ponte di Langlois è quella con le lavandaie in riva al canale conservata a Otterlo: un paesaggio che ha come riferimento le stampe giapponesi, pensato con nette campiture di colore e con una chiara suddivisione dello spazio. Più vicina allo schizzo fatto nella lettera a Bernard è un’altra tela, conservata ad Amsterdam, con il cielo grigio e l’argine più sabbioso, con tre sole piccole figure, che è successiva, forse di pochi giorni, alla tela di Otterlo.
A Theo inviò un acquerello fatto dal dipinto perché vedesse i colori, con il titolo «Le pont de l’Anglais», sbagliando l’esatto nome del gestore del ponte, il vecchio Langlois. Era talmente sicuro di avere raggiunto con la tela di Otterlo un risultato soddisfacente che pregò Theo di mandarla in dono al mercante Tersteeg dell’Aja, con cui aveva da tempo rotto i rapporti, e si dilungò nella descrizione della cornice che riteneva giusta per il quadro: «una cornice appositamente studiata blu intenso e oro, fatta in questo modo: la parte interna più larga, blu, decorata da un filetto dorato intorno al bordo esterno; se è necessario potrebbe essere di felpa blu, ma sarebbe meglio dipinta».
Del dipinto fece anche una copia destinata a Theo, oggi in collezione privata, corredata del titolo, con una trattazione cromatica meno intensa rispetto alla prima versione; spedì al fratello entrambe le tele all’inizio di maggio: quella di Theo aveva il titolo, quella per Tersteeg una dedica. Poi si pentì dell’idea di regalare il dipinto e chiese a Theo di cancellare la dedica, operazione che ha lasciato delle tracce, e frammenti dell’iscrizione sono ancora visibili sopra la firma.
Non era la prima volta che van Gogh dipingeva un ponte levatoio: anni prima, nella Drenthe, aveva fatto un acquerello, Ponte levatoio a Nuova Amsterdam, e così descriveva il colosso: «giganteschi ponti levatoi contro il cielo serale vibrante di luci».
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VAN GOGH NOTTE STELLATA Notte stellata
Giugno 1889
Olio su tela; cm 73,7 x 92,1
New York, The Museum of Modern Art
La Notte stellata fu realizzato insieme al paesaggio delle Alpilles, come racconta l’artista in una lettera al fratello. Quello di dipingere cieli notturni era un suo pensiero costante dall’aprile 1888, quando ne parla a Bernard. Ad Arles usciva di notte indossando un cappello su cui erano poggiate delle candele per studiare le luci della notte, quelle delle stelle e gli effetti dell’illuminazione a gas: proprio ad Arles realizza i suoi primi due notturni, la Terrazza del caffè sulla piazza del Forum e la Notte stellata sul Rodano, dalla tavolozza ridotta ai blu, gialli e aranci.
Nel quadro con la terrazza il blu profondo del cielo è punteggiato dal giallo delle stelle, l’azzurro delle case e dello stipite in primo piano a sinistra, illuminato dal giallo della luce che invade le vetrate del caffè, le finestre delle case; il giallo e il blu accostati disegnano l’acciottolato della strada. Nel paesaggio notturno sul Rodano il giallo chiaro delle stelle simili a piccoli e pallidi soli, si stagliano sugli azzurri del cielo stesi come se fossero tessere di mosaico, mentre gli aranci delle luci della città si riflettono sul blu profondo dell’acqua.
La Notte stellata nasce invece da un desiderio di maggiore distacco dalla veduta reale, per cui sia la composizione del paesaggio in basso, sia il cielo stellato raggiungono un livello di alta astrazione. Il paesaggio secondo alcuni nascerebbe da un disegno con una Veduta di Saint-Rèmy che però sembra essere più tardo del dipinto, mentre invece appare più convincente la conclusione che il gruppo di case con i tetti spioventi e la chiesa dal campanile svettante sia stato composto pensando a un tipico paesaggio del Nord: un ricordo dunque, e non una veduta reale. Il cielo è una visione sfolgorante di luce, dove la luna diventa con il suo alone un piccolo sole, le stelle sono gomitoli di luce, e vortici di pulviscolo luminoso attraversano il cielo come sentieri.
Del dipinto van Gogh fece un disegno che è andato distrutto a Brema e che presenta alcune varianti rispetto al quadro: il fumo che esce dai camini delle case, i cipressi più aperti e mossi, come lingue di fuoco.
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VAN GOGH RITRATTO DEL DOTT.GACHET Ritratto del dottor Gachet
Maggio - Giugno 1890
Olio su tela; cm 67 x 56
A Auvers van Gogh fu affidato al dottor Gachet dai Pissarro, ma non ebbe del medico una buona impressione, considerandolo un pazzo bisognoso di cure: «Credo che non si debba contare in alcun modo sul dottor Gachet», scrisse.
Lo ritrae dapprima in un’incisione tirata in sedici esemplari che è datata 25 maggio 1890, e che van Gogh fa utilizzando il torchio del dottore, anch’egli incisore e pittore che si firmava con lo pseudonimo van Ryssel, Lilla in fiammingo, sua città d’origine.
Poi, in una lettera a Theo del 3 giugno scrive che aveva iniziato a dipingere il soggetto e correda la lettera con uno schizzo, che si riferisce a questa prima versione.
Il dipinto ha delle assonanze con L’Arlesiana, un quadro che il dottore aveva particolarmente apprezzato: la posa malinconica è la stessa, compaiono in entrambi i libri sul tavolo e ugualmente veloce è la stilizzazione decorativa. Gachet indossa il berretto da marinaio e la sua figura si staglia su un fondo astratto, trattato a piccole onde; alla sua professione di medico omeopatico van Gogh allude con la pianta di digitale in primo piano e descrive in una lettera le sue mani, più pallide del volto, «come le mani di un ostetrico». La sua espressione meditativa viene definita dal pittore in una lettera a Gauguin come «l’espressione triste della nostra epoca», e anche i romanzi posati sul tavolo, Germinie Lacerteux e Manette Salomon dei fratelli Edmond e Jules de Goncourt, alludono alla vita moderna e ai suoi drammi. Il dipinto è stato venduto in asta da Christie’s a New York nel 1990 per 82,5 milioni di dollari, acquistato dalla galleria Kobayashi di Tokio: era stato comprato negli anni Trenta dal banchiere e collezionista di origine tedesca Siegfried Kramarsky, e dal 1984 era in prestito al Metropolitan Museum di New York.
Nella seconda versione del dipinto, donata al Musée d’Orsay di Parigi dai figli del dottor Gachet, van Gogh ha eliminato il bicchiere e i libri, lasciando risaltare la pianta di digitale sul fondo rosso, trattando in modo più sommario lo sfondo.
Quando van Gogh fece questo ritratto, Paul-Ferdinand Gachet aveva sessantuno anni e dal 1872 viveva a Auvers, luogo dove spesso lo raggiungevano alcuni pittori. Fu infatti mecenate e amico di molti artisti impressionisti: Pissarro, Cézanne - che ha lasciato dei quadri con la casa del dottore, e un disegno in cui Gachet è ritratto di spalle -, Guillaumin, Monet, Renoir. Di Gachet ci è pervenuto un altro ritratto, realizzato nel 1891 da Norbert Goeneutte.
Anche la figlia del dottore, Marguerite-Clementine, fu ritratta da van Gogh: è un dipinto verticale in cui la donna seduta al piano, vestita di un abito bianco percorso da lunghe e corpose pennellate nei toni del lilla e del rosa, si staglia su uno sfondo verde chiaro interrotto da piccoli cerchi arancio.
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VAN GOGH LA CHIESA DI AUVERS La Chiesa di Auvers
Giugno 1890
Olio su tela; cm 94 x 74
Parigi, Musée d’Orsay
Del dipinto parla in una lettera alla sorella Willemien del giugno 1890: «Ho fatto un grande quadro con la chiesa del villaggio, in cui la costruzione sembra violacea contro un cielo blu profondo e piatto di puro cobalto; le vetrate sembrano delle macchie blu oltremare; il tetto è violetto e in parte arancione. In primo piano un po’ di verde fiorito e della sabbia assolata rosa. È quasi simile agli studi della torre del cimitero che ho fatto a Nuenen, soltanto che ora il colore è più vivido, più sontuoso».
È uno dei dipinti più famosi di van Gogh, dove l’architettura della chiesa sembra muoversi sotto i profili bianchi e neri, stagliata contro il cielo blu profondo. Come fa spesso in questi ultimi suoi mesi di vita, van Gogh lega le impressioni del momento a ricordi del paese d’origine, e nel caso di questo dipinto cita la torre di Nuenen, un dipinto di appena quattro anni prima, ma così profondamente diverso dalla Chiesa di Auvers.
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VAN GOGH LA MIETITURA La Mietitura
Giugno 1888
Olio su tela; cm 73 x 92
Amsterdam, Rijksmuseum Vincent van Gogh
L’atmosfera dell’estate era data per van Gogh dal «contrasto del blu contro l’elemento arancione del bronzo dorato del grano», effetto che riuscì a rendere con questa tela “size 30”. Scrisse a Theo che la considerava una delle opere più riuscite, che «fa passare tutto il resto in secondo piano».
L’aspra piana della Crau, in parte coltivata e in parte selvaggia, fu descritta a Bernard come una «piatta campagna dove non c’era niente se non ... immensità ... eternità», e popolò questa immensità di personaggi occupati nelle varie operazioni del raccolto, intenti a mietere il grano, ad ammucchiarlo in covoni, a riunirlo sull’aia per la mietitura.
La serie dei campi di grano fu realizzata dal 12 al 20 giugno 1888, giorno in cui un’improvvisa tempesta devastò il raccolto. Fino ad allora lavorò “en plein air” sotto il sole cocente realizzando una decina di dipinti e cinque disegni.
Nello stesso periodo realizzò i Covoni di grano che considerava un pendant della Mietitura e che, nel febbraio 1889, avrebbe voluto esporre insieme al Salon des Artistes Indépendants.
Il soggetto dei covoni era stato trattato anche a Nuenen nel 1885: allora cercava ancora di rendere l’effetto dell’estate che «non è facile da rappresentare», al contrario della primavera.
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VAN GOGH LE TAMBOURIN 1887-Olio su tela; cm 55,5 x 46,5
Amsterdam, Rijksmuseum Vincent van Gogh
A Parigi van Gogh diventa un assiduo frequentatore di locali, cabaret e ristoranti popolari: seduto a un tavolo di “café” lo ritrae Toulose-Lautrec nel 1887. All’inizio di quell’anno frequenta assiduamente “Le Tambourin”, sul Boulevard de Clichy, dove mangiava gratis; il locale era gestito da un’ex modella di Degas, l’italiana Agostina Segatori con cui van Gogh ha una breve relazione. In quel periodo Vincent decora le pareti del locale con dipinti suoi e stampe giapponesi che si procura nella bottega di Samuel Bing in rue de Provence; quando lei lo lascia deve forzare la porta del locale per recuperare i suoi quadri. È in questo locale che nella primavera di quell’anno organizza un’esposizione insieme a Bernard, Anquetin, Gauguin, Toulouse-Lautrec: il gruppo si autodefinisce “du petit boulevard”, contrapponendosi ai “peintres du grand boulevard”, ovvero agli impressionisti più anziani: Monet, Pissarro, Degas.
ritratto di Agostina Segatori ha ancora delle ascendenze tipicamente impressioniste, e mostra l’intenzione di comunicare un sentimento, un’impressione data dall’aria malinconica, la sigaretta, il bicchiere di birra; sulla parete a destra è tracciata in modo sommario l’immagine di una delle stampe giapponesi amate da van Gogh.
La stessa modella fu ritratta anche nel dipinto La donna italiana, uno dei dipinti più vivaci del periodo parigino, giocato su forti accostamenti cromatici e dominato dall’intensità del giallo dello sfondo. Tutto appare stravolto per una ricerca di espressività totale e anche la spazialità è assolutamente ridotta, appiattita come in una stampa giapponese, incorniciata da un insolito bordo fatto da strisce verdi e rosso-arancio.
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VAN GOGH IL MIETITORE Settembre 1889
Olio su tela; cm 59,5 x 73
Essen, Museum Folkwang
Il quadro fu dipinto da van Gogh per la madre ed è l’ultima versione di un soggetto che iniziò a dipingere in giugno, quando vide un contadino che mieteva nel campo dietro l’ospedale. Scrisse a Bernard che vi aveva affrontato «il diabolico problema del giallo» e che era «forse la tela più luminosa che abbia mai fatto». Di questa opera mandò un disegno a penna a Theo, dove non compare la figura del mietitore.
Riprese il soggetto in settembre, dopo alcune crisi che gli avevano impedito di lavorare: realizzò così il mietitore oggi ad Amsterdam, dai colori più tenui e con un cielo verde, che voleva esporre alla mostra del gruppo Les Vingts a Bruxelles. Parlando di questo quadro in una lettera a Theo del settembre 1889 van Gogh lo contrappone al seminatore dipinto ad Arles: «Sono alle prese con una tela che ho cominciato alcuni giorni prima della mia malattia, un mietitore, il bozzetto è del tutto giallo, dipinto con uno strato spesso di colore, ma il motivo era bello e semplice. In quel mietitore vedevo - una figura particolare che lotta come un demonio, sotto il sole cocente, per finire il suo lavoro - vedevo in lui l’immagine della morte, nel senso che l’umanità era il grano che egli stava mietendo. È - se vuoi - l’opposto del seminatore che ho tentato di raffigurare in precedenza. Ma non c’è niente di triste in quella morte, tutto succede alla luce del giorno, con un sole che inonda tutto d’una luce d’oro puro».
Fece poi un dipinto che considerava pendant del Mietitore di Otterlo, il Campo cintato con contadino: «Ho appena portato a casa una tela alla quale ho lavorato per un certo tempo - scrive a Theo - e che ritrae lo stesso campo di quella del mietitore. In questa vi sono zolle di terra bruciata in distanza, e più in là le Alpilles, una chiazza di cielo verde-blu con una nuvola bianco-porpora, un cardo e erba secca in primo piano». Poco tempo dopo precisò: «È lo stesso campo della tela col mietitore dell’estate scorsa, e può servire come pendant di quella, penso che prendano forza una dall’altra».
VAN GOGH RACCOGLITORI DI ARBUSTI SULLA NEVE Oil on canvas on panel
67.0 x 126.0 cm.
Nuenen: September, 1884
Private collection
Van Gogh Vincent
VAN GOGH GIRASOLI
Van Gogh, Vincent (Groot Zundert 30.3.1853 - Auvers-sur-Oise 29.7.1890)
"E il mio scopo nella vita è fare quadri e disegni, più e meglio che posso; poi, al termine della mia vita, spero di andarmene ricordandoli con amore e tenero rimpianto e pensando: Oh, i quadri che avrei potuto fare!"
Vincent van Gogh
Pittore olandese. Figlio di un pastore protestante, lavorò all’Aia, a Londra e a Parigi per la società di mercanti d’arte Goupil, presso cui era impiegato anche il fratello Theo. In piena crisi religiosa si licenziò nel 1876 e tornò in Inghilterra, a Ramsgate, e poi a Isleworth, dove divenne aiuto predicatore di un pastore metodista. Nel 1877 partì per Amsterdam, con l’intento di studiare teologia. Respinto agli esami di ammissione, si iscrisse a una scuola per evangelizzatori e partì per il Borinage, regione mineraria del Belgio meridionale, dove, intriso di socialismo proudhoniano e messianesimo, fece esperienza pastorale, ma anche politica e iniziò l’attività artistica con disegni di minatori e contadini, realizzati secondo i canoni della tradizione realista olandese, ma influenzati anche dall’opera di J.F. Millet e H. Daumier, conosciuta a Londraattraverso la rivista The Graphic. Nel 1879 ottenne un breve incarico pastorale a Wasmes, ma per il suo fanatismo non gli fu rinnovato il mandato. I primi paesaggi all’acquerello risalgono al 1882, quando trascorse un mese in ospedale, già manifestando un profondo disagio esistenziale. Aiutato dal fratello Theo si iscrisse all’Académie Royale des Beaux-Arts di Bruxelles e nel 1883 tornò in famiglia, a Nuenen, dove allestì uno studio e tenne lezioni di pittura, dipingendo scene di vita contadina, operai e tessitori al lavoro, che culminarono nell’opera I mangiatori di patate (1885, Amsterdam, Mus. Van Gogh). Durante il successivo soggiorno ad Anversa intraprese una ricerca sul colore partendo da P.P. Rubens e iniziando la serie degli autoritratti (Teschio con sigaretta, Amsterdam, Rijksmus.). Convinto dal fratello, si trasferì a Parigi (1886) dove entrò in contatto con ivivaci ambienti culturali degli impressionisti, allargando i suoi orizzonti artistici ad altre esperienze come le stampe giapponesi, e conobbe A. Guillaumin, H. de Toulouse-Lautrec e P. Gauguin, andando spesso a dipingere all’aperto con É. Bernard. Maturarono allora, nel 1887, i caratteri peculiari della sua arte, fondata su citazioni dalla pittura giapponese, un uso rivoluzionario del colore, acceso e puro, su linearismi sintetici e arabescati (Ritratto del père Tanguy, Parigi, Mus. Rodin; la serie dei Girasoli; Autoritratto, Otterlo, Kröller-Müller Mus.). Stabilitosi ad Arles nel 1888, introdusse nella sua tavolozza i colori accesi del Mediterraneo che riprese nella serie meno tormentata delle sue opere (La camera di Vincent, Amsterdam, Mus. Van Gogh; Veduta di Saintes-Maries, Otterlo, Kröller-Müller Mus.) e collaborò brevemente con Gauguin traendone nuova ispirazione. La rottura del rapporto con Gauguin lo gettò nella disperazione e il suo equilibrio mentale entrò in crisi: nel 1889 si tagliò l’orecchio sinistro e fu ricoverato nell’ospedale psichiatrico di Saint-Rémy. Anche in ospedale, e nei brevi periodi nei quali rientrò a casa, dipinse molto introducendo nuovi temi, un uso sempre più simbolico e gestuale del colore e deformazioni prospettiche già in chiave espressionista (La strada col cipresso, Otterlo, Kröller-Müller Mus.; Oliveto, Amsterdam, Mus. Van Gogh; La notte stellata, 1889, New York, MoMA; Campo di grano con falciatore e sole, 1889, Otterlo, Kröller-Müller Mus.). Nel 1890 si trasferì ad Auvers-sur-Oise, presso Parigi, dove, restando in stretto rapporto col dottor Paul Gachet e con l’aiuto del fratello, alternò brevi periodi di fiducia in se stesso a crisi di profonda disperazione. In quest’ultimo breve periodo dipinse furiosamente (La chiesa diuvers-sur-Oise, Ritratto del dottor Gachet, Parigi, Mus. d’Orsay), accentuando il carattere tormentato della sua pittura. Un’ultima tela (Campo di grano con volo di corvi, 1890, Amsterdam, Mus. Van Gogh) preannunciò il suicidio: il 27 luglio si sparò con una pistola al ventre e due giorni dopo morì, assistito da Theo che gli sopravvisse di poco. L’opera dell’artista, che pure riuscì in vita a vendere un solo dipinto (Vigna rossa, Mosca, Mus. Pus450-1008}kin), ha influito in modo marcato e durevole sull’arte del suo tempo e del primo ’900, soprattutto in considerazione del modo profondamente innovativo con cui intese il colore e il segno, che fu determinante, per esempio, neglisviluppi dell’espressionismo tedesco, non meno del senso tragico e folle, della passione sociale e umana che dominarono la sua opera e la sua stessa vita. Il corpus delle opere di Van Gogh (880 quadri e circa altrettanti disegni e acqueforti), unitamente al fitto epistolario con il fratello Theo e con il pittore Anthon Van Rappard sono in gran parte conservate al Museo Van Gogh di Amsterdam.