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Alberto Pasini, Sul corno d’oro, Paolo Veronese  Giovanni da Porto  con il figlio Marquet, Albert Milliners ,   Circa 1901 Monet,Claude  Palazzo Ducale visto da San Giorgio Maggiore ( Palmieri Sandro - Bosco Raffaelli Jean-francois  Un Clochard Ippolito Caffi, Schiava e donna del Cairo, Edgar Degas Femme assise,s'essuyant Duchamp la vergine b
 
Nuova mostra


CARLO LEVI - IL VOLTO DEL NOVECENTO
CARLO LEVI "Il volto del novecento" 100 opere di Carlo Levi fra pitture e...

19/08/2013
 
 


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Dudreville Leonardo Dal Divisionismo a Novecento
TUTTE LE MOSTRE » Mostre in Italia (2004)

 
   
FOTO PRESENTI 5
 
Dudreville Leonardo  Trilogia campestre. Terra-Madre Grande,
Dudreville Leonardo Dal Divisionismo a Novecento
DUDREVILLE LEONARDO TRILOGIA CAMPESTRE. TERRA-MADRE GRANDE,
1912 Olio su tela, cm 83 x 108 Lugano, Museo Civico di Belle Arti
Dudreville Leonardo Trilogia campestre. Quando le campane martellano,
Dudreville Leonardo Dal Divisionismo a Novecento
DUDREVILLE LEONARDO TRILOGIA CAMPESTRE. QUANDO LE CAMPANE MARTELLANO,
1912 Olio su tela, cm 130 x 176 Lugano, Museo Civico di Belle Arti
Dudreville Leonardo La primavera,
Dudreville Leonardo Dal Divisionismo a Novecento
DUDREVILLE LEONARDO LA PRIMAVERA,
1912 Olio su tela, cm 155 x 165 Novara, Museo Civico
Dudreville Leonardo  La strada,
Dudreville Leonardo Dal Divisionismo a Novecento
DUDREVILLE LEONARDO LA STRADA,
1937 Olio su tela, cm 70 x 80 Collezione privata
Dudreville  Leonardo  Cacciatore che spara all'airone,
Dudreville Leonardo Dal Divisionismo a Novecento
DUDREVILLE LEONARDO CACCIATORE CHE SPARA ALL'AIRONE,
1928-1930 Olio su tela, cm 80 x 110 Collezione privata
   
Nessuno lo aveva più rivisto dal lontano 1912. Lo si pensava perduto per sempre. Inghiottito da chissà quale e irreperibile collezione privata. Oppure distrutto durante il primo o il secondo conflitto. E invece (ha dell'assurdo!) il monumentale trittico "campestre" di Leonardo Dudreville, esposto alla Permanente di Milano nell'estate del '12 - appunto - se n'è stato quatto-quatto per novant'anni proprio a due passi dal luogo della sua ultima apparizione. Trattasi per l'esattezza del Museo di Belle Arti della città di Lugano, che accolse l'opera poco dopo la mostra, non lasciando - paradossalmente - traccia del suo trasloco. Un colpo basso per la critica e gli studiosi, affannatisi per decenni nella ricerca di questo capolavoro giovanile del maestro veneziano, e oggi spiazzati dal suo fortuito (ed elementare) recupero. Distrazioni che capitano. L'importante è che in occasione della prima, completa antologica dell'artista, al Serrone della Villa Reale di Monza, la Trilogia sia presente quale tappa d'apertura di un percorso alla scoperta dell'esperienza figurativa di Dudreville. Che è partito sì da un naturalismo schietto, ma s'è accostato, col tempo, a così tante e svariate ricerche, da ritagliarsi un ruolo autonomo nel panorama dell'epoca. Un ruolo di outsider. Di personaggio eclettico. Curioso d'indagare i risvolti d'ogni movimento e poi di farsi un'idea propria sulla direzione da prendere. Ecco perché scorrendo le opere esposte si ha come l'impressione di trovarsi di fronte a un autore camaleontico. Capace di assorbire il verbo puro del divisionismo, di schierarsi poi con la falange futurista e approdare, ancora, al Novecento di Margherita Sarfatti. A raccontare questi passaggi (mai casuali, sempre calcolati) sono le sue immagini stesse. I paesaggi degli esordi, "segantiniani" fino al midollo. La serie delle stagioni del '12 o le composizioni del '14, allineate alla poetica di Boccioni e compagni. E, più tardi, i ritratti - superbi - dei primi anni Venti, quando l'interesse per il realismo "oggettivo" di Dix e di un certo espressionismo tedesco lo porterà a concepire figure di spietata precisione. Come il Ritratto di Aloi, o il Ritratto di Marcella - la sua compagna - della quale tenderà a evidenziare "la luce sconcertante di quegli strani occhi metallici". Opere che rivelano già la sua predisposizione ai "modi" nascenti del Novecento italiano. D'altro canto era stata proprio la cura per l'uomo e per la sua psicologia ad allontanarlo quasi subito dall'avventura futurista. Per uno come lui, avvinto - diceva - "da un appassionato amore per la natura e la realtà" il mondo meccanico, esaltato dagli amici del movimento, poco s'adattava alle sue esigenze espressive; aperte alla sperimentazione di nuovi linguaggi ma, allo stesso tempo, affezionate alla verità delle cose e, soprattutto, ai cosiddetti "soggetti proibiti" dal Manifesto. Uno per tutti: il corpo umano, ritenuto - appunto - "stucchevole e opprimente quanto l'adulterio in letteratura". Caparbio com'era, Dudreville non ci pensò due volte a uscire dal tracciato. E, all'Esposizione Nazionale Futurista del '19, esordì con una tela in cui la consueta scomposizione dell'immagine era applicata a un carnalissimo corpo di donna. Risultato: pochi commenti dagli amici, ma a D'Annunzio, che visitò la mostra con Marinetti, piacque parecchio. Iniziava così la sua diaspora dal gruppo. Da allora lo stile di Dudreville proseguì libero. Accostandosi, adesso, a una certa corrente; ispirandosi, ora, agli autori che ne stuzzicavano la curiosità (è il caso, per esempio, della pittura spagnola di Zuloaga). O confrontandosi, ancora, con i grandi classici. A testimoniare questa stupefacente versatilità resta, infine, una lunga serie di Nature morte "alla fiamminga", apice del suo bisogno di naturalezza. "Comodo ed economico modello - confessava - che mi concederà ogni esperienza di fattura. Questa è la mia più vera e proficua scuola". (Tutte le immagini sono tratte dal catalogo della mostra edito da Silvana Editoriale)
(a cura di Chiara Gatti)




 
 
 

 


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