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FOTO PRESENTI 5 |
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Dudreville Leonardo Dal Divisionismo a Novecento
DUDREVILLE LEONARDO TRILOGIA CAMPESTRE. TERRA-MADRE GRANDE,
1912
Olio su tela, cm 83 x 108
Lugano, Museo Civico di Belle Arti
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Dudreville Leonardo Dal Divisionismo a Novecento
DUDREVILLE LEONARDO TRILOGIA CAMPESTRE. QUANDO LE CAMPANE MARTELLANO,
1912
Olio su tela, cm 130 x 176
Lugano, Museo Civico di Belle Arti
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Dudreville Leonardo Dal Divisionismo a Novecento
DUDREVILLE LEONARDO LA PRIMAVERA,
1912
Olio su tela, cm 155 x 165
Novara, Museo Civico
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Dudreville Leonardo Dal Divisionismo a Novecento
DUDREVILLE LEONARDO LA STRADA,
1937
Olio su tela, cm 70 x 80
Collezione privata
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Dudreville Leonardo Dal Divisionismo a Novecento
DUDREVILLE LEONARDO CACCIATORE CHE SPARA ALL'AIRONE,
1928-1930
Olio su tela, cm 80 x 110
Collezione privata
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Nessuno lo aveva più rivisto dal lontano 1912. Lo si pensava perduto per sempre. Inghiottito da chissà quale e irreperibile collezione privata. Oppure distrutto durante il primo o il secondo conflitto. E invece (ha dell'assurdo!) il monumentale trittico "campestre" di Leonardo Dudreville, esposto alla Permanente di Milano nell'estate del '12 - appunto - se n'è stato quatto-quatto per novant'anni proprio a due passi dal luogo della sua ultima apparizione. Trattasi per l'esattezza del Museo di Belle Arti della città di Lugano, che accolse l'opera poco dopo la mostra, non lasciando - paradossalmente - traccia del suo trasloco. Un colpo basso per la critica e gli studiosi, affannatisi per decenni nella ricerca di questo capolavoro giovanile del maestro veneziano, e oggi spiazzati dal suo fortuito (ed elementare) recupero. Distrazioni che capitano.
L'importante è che in occasione della prima, completa antologica dell'artista, al Serrone della Villa Reale di Monza, la Trilogia sia presente quale tappa d'apertura di un percorso alla scoperta dell'esperienza figurativa di Dudreville. Che è partito sì da un naturalismo schietto, ma s'è accostato, col tempo, a così tante e svariate ricerche, da ritagliarsi un ruolo autonomo nel panorama dell'epoca. Un ruolo di outsider. Di personaggio eclettico. Curioso d'indagare i risvolti d'ogni movimento e poi di farsi un'idea propria sulla direzione da prendere. Ecco perché scorrendo le opere esposte si ha come l'impressione di trovarsi di fronte a un autore camaleontico. Capace di assorbire il verbo puro del divisionismo, di schierarsi poi con la falange futurista e approdare, ancora, al Novecento di Margherita Sarfatti.
A raccontare questi passaggi (mai casuali, sempre calcolati) sono le sue immagini stesse. I paesaggi degli esordi, "segantiniani" fino al midollo. La serie delle stagioni del '12 o le composizioni del '14, allineate alla poetica di Boccioni e compagni. E, più tardi, i ritratti - superbi - dei primi anni Venti, quando l'interesse per il realismo "oggettivo" di Dix e di un certo espressionismo tedesco lo porterà a concepire figure di spietata precisione. Come il Ritratto di Aloi, o il Ritratto di Marcella - la sua compagna - della quale tenderà a evidenziare "la luce sconcertante di quegli strani occhi metallici".
Opere che rivelano già la sua predisposizione ai "modi" nascenti del Novecento italiano. D'altro canto era stata proprio la cura per l'uomo e per la sua psicologia ad allontanarlo quasi subito dall'avventura futurista. Per uno come lui, avvinto - diceva - "da un appassionato amore per la natura e la realtà" il mondo meccanico, esaltato dagli amici del movimento, poco s'adattava alle sue esigenze espressive; aperte alla sperimentazione di nuovi linguaggi ma, allo stesso tempo, affezionate alla verità delle cose e, soprattutto, ai cosiddetti "soggetti proibiti" dal Manifesto. Uno per tutti: il corpo umano, ritenuto - appunto - "stucchevole e opprimente quanto l'adulterio in letteratura". Caparbio com'era, Dudreville non ci pensò due volte a uscire dal tracciato. E, all'Esposizione Nazionale Futurista del '19, esordì con una tela in cui la consueta scomposizione dell'immagine era applicata a un carnalissimo corpo di donna. Risultato: pochi commenti dagli amici, ma a D'Annunzio, che visitò la mostra con Marinetti, piacque parecchio.
Iniziava così la sua diaspora dal gruppo. Da allora lo stile di Dudreville proseguì libero. Accostandosi, adesso, a una certa corrente; ispirandosi, ora, agli autori che ne stuzzicavano la curiosità (è il caso, per esempio, della pittura spagnola di Zuloaga). O confrontandosi, ancora, con i grandi classici. A testimoniare questa stupefacente versatilità resta, infine, una lunga serie di Nature morte "alla fiamminga", apice del suo bisogno di naturalezza. "Comodo ed economico modello - confessava - che mi concederà ogni esperienza di fattura. Questa è la mia più vera e proficua scuola".
(Tutte le immagini sono tratte dal catalogo della mostra edito da Silvana Editoriale)
(a cura di Chiara Gatti)
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