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FOTO PRESENTI 14 |
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Segantini Giovanni
SEGANTINI,GIOVANNI L'AMORE ALLE FONTI DELLA VITA",
Amore alle fonti della vita " olio su tela, 72 x 100 cm, 1896, Milano, Galleria d'Arte Moderna
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Segantini Giovanni
SEGANTINI, GIOVANNI "LE DUE MADRI",
Due madri
olio su tela, 162 x 300 cm, 1889, Milano, Galleria d'Arte Moderna
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Segantini Giovanni
SEGANTINI, GIOVANNI "L'ANGELO DELLA VITA",
olio su tela, 276 x 212 cm, 1894, Milano, Galleria d'Arte Moderna
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Segantini Giovanni
SEGANTINI, GIOVANNI "VACCHE AGGIOGATE",
1888, Basilea, Kunstmuseum
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Segantini Giovanni
SEGANTINI GIOVANNI NATURA MORTA CON S.CECILIA
Tempera su carta incollata su cartoncino, cm 74,5x54
Milano, Civica Galleria d'Arte Moderna
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Segantini Giovanni
SEGANTINI GIOVANNI AVE MARIA A TRASBORDO (I VERSIONE)
1882
Olio su tela, cm 84x64,5
Zurigo, collezione privata
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Segantini Giovanni
SEGANTINI GIOVANNI ZAMPOGNARI IN BRIANZA
(1883-1885)
Olio su tela, cm 107,2x192,2
Tokyo, National Museum of Western Art
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Segantini Giovanni
SEGANTINI GIOVANNI STUDIO PER "A MESSA PRIMA"
1885
Olio su cartoncino incollato su legno, cm79,8x58,2
Euerbach, collezione Georg Schaefer
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Segantini Giovanni
SEGANTINI GIOVANNI ALLA STANGA,
(Arco 1858 - Shafberg 1899)
1886
Olio su tela, 170x389 cm.
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Segantini Giovanni
SEGANTINI GIOVANNI
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Segantini Giovanni
SEGANTINI GIOVANNI
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Segantini Giovanni
SEGANTINI GIOVANNI PORTATRICE D'ACQUA
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Segantini Giovanni
SEGANTINI GIOVANNI
Trittico della natura - La morte
1898
Carboncino e matita dura su carta, cm 137x108
Winterthur, Stiftung fuer Kunst, Kultur und Geschichte
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Segantini Giovanni
SEGANTINI GIOVANNI L'ORA MESTA),
The Sad Hour" ( 1892, canvas, private collection
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Ricordo di Giovanni Segantini A cura del prof. Romano Turrini Il 28 settembre 1899 moriva a Maloja, in Engadina, il pittore Giovanni Segantini. A cento anni dalla morte, Arco ed il Trentino ricordano il grande maestro del divisionismo italiano.
Vincendo la ritrosia che gli aveva impedito, fino ad allora, di parlare della sua infanzia. La famiglia del padre, Agostino Segatini, era originaria di Bussolengo, ma nella seconda metà del Settecento si era trasferita ad Ala. Antonio Segatini (nonno del pittore) viene segnato nei registri del Decanato di Ala «Veronensis nunc incola Alae»; praticava l’arte del canapino, del tessitore. Agostino Segatini (sarà Giovanni a modificare il suo cognome in Segantini) non segue le orme paterne e si dedica alla vendita di vino, formaggio e frutta, aprendo una rivendita in via San Martino, a Trento. Egli sposa in prime nozze Maddalena Fronza ed ha diversi figli, i quali però muoiono quasi tutti bambini. Ne rimangono in vita solo due: Napoleone e Domenica, che tutti in famiglia chiamavano Irene. Essi avranno un ruolo importante nella vita del piccolo Giovanni. A 43 anni, nel 1851, Maddalena Fronza muore; Agostino nello stesso anno si sposa con Margherita de Girardi di Castello di Fiemme. La miseria però attanaglia quella famiglia; l’attività di rivendita dà scarsi guadagni, i loro pochi beni vengono pignorati, i bambini sono affidati ad una zia che abitava a Bolzano. Agostino e Margherita si trasferiscono inizialmente a Verona, poi ritornano in Trentino, e precisamente a Mori. L’amministrazione comunale della borgata concede il permesso di residenza purchè la famiglia Segatini non avanzi richieste di sussidio. Ed infatti Agostino si rivolge al Magistrato civico di Trento ottenendo un aiuto di cinque fiorini; ma quando, non riuscendo con la vendita di chincaglierie a far fronte ai bisogni della famiglia, egli si decide a chiedere un sostegno economico al comune di Mori, la famiglia Segatini viene invitata a cambiare residenza. E così nel settembre del 1856 essi arrivano ad Arco e vanno a stabilirsi in una piccola casa, appena superato il ponte sul fiume Sarca, sulla sinistra andando verso la città. Era, con tutta probabilità, l’antica sede dei gabellieri, dove si versava il dazio. Il municipio di Trento continua a fornire sussidi alla famiglia, servendosi dell’arciprete di Arco Dall’Armi per avere informazioni sicure circa le reali esigenze dei Segatini. Il 15 gennaio 1858 nasce ad Arco Giovanni Segatini. La madre Margherita, già di salute cagionevole, soffre nel dare alla luce Giovanni e non si riprenderà più. «Io la ricordo ancora mia madre…La rivedo con l’occhio della mente quella sua figura alta, dall’incedere languido. Era bella, non come aurora o meriggio, ma come tramonto di primavera». A gravare sul misero bilancio della famiglia, sono ora le spese mediche. Decine e decine di fatture e ricevute, e conseguenti sovvenzioni alla famiglia Segatini, sono conservate nell’Archivio storico del Comune di Arco e stanno a testimoniare il loro stato di grave indigenza. Il padre per decidere di cambiare la propria triste condizione di vita, prende con sé i figli maggiori (nel frattempo rientrati da Bolzano) e se ne va a Verona e poi a Milano. Margherita resta sola ad Arco con il figlioletto. Il piccolo Giovanni cresce abbandonato a se stesso; un giorno cade in un canale poco distante dalla casa, in via della Cinta, e viene salvato da Domenico Morghen, quando ormai lo si credeva annegato. Ingrandisci foto In rapida sequenza, accadono poi altri fatti: il ritorno del padre nel trentino, la morte per ascite della madre, a 37 anni, e l'abbandono del Trentino da parte di Giovanni (aveva sette anni) che, con il padre, raggiunge la sorellastra Irene a Milano. Agostino tornerà poi a Rovereto presso un cugino fotografo e lì morirà il 20 febbraio 1866. Nel 1867 l’imperial regia Luogotenenza di Innsbruck accorda «ad Irene Segatini ed al minore di lei fratello Giovanni Segatini il permesso di emigrazione nel regno d’Italia e quindi la dimissione dal nesso di cittadinanza austriaca». Questa decisione è comunicata il 10 ottobre 1867 alla pretura di Trento ed alla Questura di Milano; ma il pittore non ne avrà mai notizia. Seguono per Giovanni, gli anni di Milano; rinchiuso in casa, prova insofferenza per una vita che soffoca il suo bisogno di libertà. «In questo stato di cose – egli scrive in una lettera alla scrittrice Neera – non potevo a meno che inselvatichirmi, rimasi sempre irrequieto, ribelle a tutte le leggi costituite. La società coprì il mio misero corpo di fango e di fame, ma il suo fango e la sua fame non arrivarono fino a me; anzi più fango gittavano sul mio misero corpo, e più m’invigorivo nel sentimento di pietà per noi tutti miserabili». Diventa ozioso e vagabondo; viene arrestato, processato ed il 9 dicembre 1870 si aprono per lui le porte del riformatorio Marchiondi. Egli firma il registro d’ingresso con un segno di croce e diventa allievo calzolaio. Forse fu proprio lì che il giovane Segatini svelò a chi gli era umanamente più vicino le sue grandi doti artistiche. La vita nel riformatorio non faceva che acuire nel suo cuore l’amore per la vita libera. Fortunatamente, nel 1873, il fratellastro Napoleone, che aveva aperto un negozio con annesso laboratorio fotografico a Borgo Valsugana, si mette in contatto con la sorella Irene ed avvia le pratiche per ottenere il suo affidamento. Giovanni torna quindi in Trentino. Qualche anno prima, nel 1862, Borgo era stata devastata da un furioso incendio; i racconti dei paesani colpiti da quella recente catastrofe rimangono, con tutta probabilità, impressi nell’animo del giovane; quando diventerà celebre pittore, egli donerà un suo disegno, All’arcolaio, per i colpiti dal disastroso incendio di Tione (1895). Il suo soggiorno nella vallata trentina dura fino al settembre del 1875; alla soglia dei diciotto anni gli viene « in mente di abbandonare i buoni contadini e rintracciare la sorella». Presso Irene, a Milano, trova un domicilio; poi diventa apprendista nella bottega di un decoratore, l’ex garibaldino Luigi Tettamanzi, e la sera frequenta i corsi dell’accademia di Brera. Così, dopo aver «attraversato tutta l’eterna pianura della tristezza e del dolore» realizza i primi quadri ed ottiene alcuni importanti riconoscimenti; con il dipinto Il coro di Sant’Antonio (realizzato sopra la tela di un paracamino) viene premiato a Brera, nel 1879. Scrive lui stesso: «Non avevo certamente inteso di fare un’opera d’arte, ma semplicemente di provarmi a dipingere. Da una finestra aperta entrava un torrente di luce, che illuminava gli stalli intagliati in legno del coro: dipinsi questa parte, e la resi con efficace ricerca della luce. Qui subito compresi che, col mescolare i colori sulla tavolozza, non si otteneva né luce né aria: trovai il modo di disporli schietti e puri avvicinandoli sulla tela gli uni agli altri, nella stessa dose che avrei adoperata mescolandoli sulla tavolozza, lasciando che la retina dell’occhio li fonda guardando il dipinto a sua natural distanza». C’è, in queste riflessioni, un’intuizione di quella che sarà in seguito la scelta divisionista, ma egli si mantiene, per ora, nel solco della miglior tradizione del verismo lombardo. Ma le medaglie non danno di che vivere ed allora egli si presenta al Marchiondi; ottiene un incarico per insegnare geometria ai giovani alunni e consegna in deposito tre medaglie; in cambio riceve venti lire dall’economo del riformatorio. Di lui si accorgono i fratelli Vittore ed Alberto Grubicy. Soprattutto il primo, pittore e mercante d’arte, diventa una presenza importante nella vita di Giovanni Segantini. È la sua guida, il suo tutore quasi; ottiene addirittura l’autorizzazione a firmare i suoi quadri. Nasce poi la felice unione con Luigia Bugatti, chiamata dal maestro, Bice. La sua vita assumeva, giorno dopo giorno, un significato pieno; il suo spirito ribelle trovava gratificazioni nella dimensione artistica. La ricerca di sempre nuovi paesaggi, di occasioni pittoriche lo spingono verso il verde sereno della Brianza. Egli abita a Pusiano, poi a Carella e a Cornano. Nascono Gottardo (1882) ed Alberto (1883). All’Esposizione internazionale di Amsterdam gli viene assegnata la medaglia d’oro per la prima versione del dipinto Ave Maria a trasbordo. Nel marzo del 1885 nasce Mario; nell’autunno- inverno dello stesso anno egli vive a Caglio per realizzare quello che rimarrà forse il suo quadro più conosciuto, Alla stanga. Con questo dipinto, Giovanni Segantini ottiene un nuovo riconoscimento all’Esposizione universale di Amsterdam. Nel 1888, esposto a Bologna, il quadro verrà acquistato dal governo italiano per la somma di Lire 18.000.La partecipazione di opere di Segantini ad esposizioni internazionali a Londra e a Parigi accrescono la sua fama e la considerazione dei critici. I suoi soggetti preferiti attingevano alla vita agreste, dove uomini e animali vivono una vita comune, immersi in una natura che è sempre e comunque amica: «Io continuo così a lavorare alla mia opera…accarezzando col pennello i fili d’erba, i fiori, gli animali e l’uomo». Tornano, nei suoi quadri, i temi del lavoro nei campi, del pascolo, della tosatura e della filatura, di una religiosità discreta, serenamente tradizionale. E proprio la ricerca di questi ambienti, splendenti di luce e di aria, lo porta, nel 1886, a trasferirsi con la famiglia (arricchitasi di Bianca) a Savognino, un villaggio delle Alpi grigionesi, a 1213 metri d’altezza. Qui la sua famiglia si accresce di una nuova presenza: una ragazzina di quattordici anni, Barbara Ufer, diventa la bambinaia dei suoi figli. Seguirà ovunque il maestro e la sua famiglia; sarà la modella per molti suoi quadri, sarà per tutti la Baba. Giovanni Segantini intrattiene nel frattempo una fitta corrispondenza con artisti, giornalisti, studiosi; ed il suo esprimersi è caldo, immediato, cordiale. Pur nei limiti di una forma non sempre ortograficamente corretta, le sue lettere sono un miracolo di incisività, soprattutto se si considera che fino all’adolescenza egli era analfabeta. Nel febbraio del 1891, in "Cronaca d’arte", appare un suo articolo, Così penso e sento la pittura. Egli incontra le simpatie e la stima del gruppo della Secessione viennese. La sua opera assumeva, nel frattempo, sempre più i caratteri di quella che diventerà la sua scelta definitiva: il divisionismo: «…e incomincio a tempestare la mia tela di pennellate sottili, secche e grasse, lasciandovi sempre fra una pennellata e l’altra uno spazio interstizio che riempisco coi colori complementari, possibilmente quando il colore fondamentale è ancora fresco, acciochè il dipinto resti più fuso. Il mescolare i colori sulla tavolozza è una strada che conduce verso il nero; più puri saranno i colori che getteremo sulla tela, meglio condurremo il nostro dipinto verso la luce, l’aria e la verità». Giovanni Segantini continua intanto ad ottenere riconoscimenti per il suo grande ingegno artistico: Vacche aggiogate merita la medaglia d’oro all’Esposizione universale di Parigi nel 1889; altra medaglia d’oro ricevono nel 1892 Meriggio (a Monaco) e Aratura in Engadina (a Torino). In questi anni egli matura anche un proprio orientamento simbolista; entra in disaccordo con il suo nume tutelare, Vittore Grubicy; i contatti, soprattutto epistolari, si diradano. Si rafforza invece il rapporto con Alberto Grubicy che diventa il mecenate di Segantini. Nel 1894, assillato dai debiti, Segantini abbandona Savognino e si stabilisce a Maloja (1.800 metri), nello chalet Kuomi. Trascorre invece gli inverni in un albergo a Soglio. Continua a dipingere, a lavorare in modo incessante; assetato di cultura, acquista libri che la moglie pazientemente gli legge, mentre lui lavora al cavalletto. Per l’ "Exposition internationale" di Parigi del 1900 egli progetta un’opera colossale: Il "Panorama dell’Engadina", che avrebbe dovuto illustrare il meraviglioso paesaggio delle Alpi svizzere. Il progetto, che doveva ottenere l’aiuto finanziario degli albergatori engadinesi, viene abbandonato nel 1897 per scarsità di fondi. Giovanni Segantini non rinuncia comunque completamente al suo ambizioso disegno ed incomincia a lavorare al Trittico della natura. Il ricordo di Arco e del Trentino non si era spento però nell’animo di Segantini. Egli, già nel 1890, aveva avviato un rapporto epistolare con Vittorio Zippel, editore ed anche podestà di Trento, che lo invita a passare qualche giorno nella sua terra natale. E Segantini risponde nell’agosto del 1891: «S’immagini, non passa un giorno che io non vi pensi; forse chissà che un giorno possa venire, ma vorrei vedere il sole sul mio paese, e non tremare; allora stia certo che la prima visita che farò sarà a Lei, in memoria dei suoi ripetuti inviti». Egli temeva infatti di figurare ancora cittadino austriaco, renitente alla leva, e di incorrere quindi, rientrando in Trentino, in qualche guaio giudiziario. Zippel si attiva, attraverso canali burocratici diversi, fino ad assicurare il maestro che nulla più ostava ad un suo viaggio in Trentino. Nel luglio del 1898 egli scrive a Vittorio Zippel: «Carissimo ed egregio amico, mai lettera mi fu più gradita della Sua ultima: sono dunque libero di entrare nel mio paese, nella patria mia, dopo più di trent’anni. Come ci volerei subito se mi fosse possibile; ma non mi è possibile; i gravi impegni presi per i miei lavori in corso me lo impediscono». Nel 1898 scrive anche all’ing. Carlo Marchetti, podestà di Arco: «Il ricordo del mio paese mi accompagnò sempre nella mia triste infanzia e fu come il sole interno la cui luce è ancora quella che illumina l’opera mia». Nello stesso anno invia un lettera da Maloja al dott. Tommaso Bresciani di Arco: «Tengo nelle mani parecchie opere alle quali lavoro accanitamente…e dovranno essere finite nell’aprile del 1899. Allora soltanto potrò concedermi la gioia grande di rivedere la mia patria ed il mio caro paese nativo e stringere la mano amica che Ella mi porge». In una conferenza tenutasi ad Arco nel febbraio del 1899, lo stesso dott. Bresciani annunciava: «E Arco sarà superba di accogliere e onorare questo cittadino che, partito orfanello povero e oscuro, ritorna cinto di gloria a rivedere il sogno della sua fanciullezza». Ma un tragico destino doveva impedire l’avverarsi di questo desiderio. La sua ricerca di luce lo spinge il 18 settembre del 1899 a salire ai 2.700 metri dello Schafberg; per lavorare al suo grande capolavoro, Il Trittico. Quando già aveva cominciato a dipingere, un violento attacco di peritonite stronca purtroppo la sua forte fibra: Giovanni Segantini muore il 28 settembre, assistito dall’amico dottor Oskar Bernhard, dal figlio Mario e dalla sua compagna Bice. Ugo Ojetti, grande critico d’arte e giornalista, nel commemorarlo a Trento qualche mese dopo, affermava: «La sua vita è stata uguale al suo sogno. La sua vita è stata sincerità…Gloriatelo, o Trentini, con monumenti e con inni…Ma più glorificatelo imitandolo nella tenacia della speranza perché uomini e città in tanto sono degne di vivere in quanto non perdono un solo minuto, nemmeno nella notte più fosca, nemmeno sotto i nembi più grevi, la speranza del sole». Il Governo austriaco nel 1902 dedica a Segantini una splendida monografia illustrata, opera di Franz Servaes. Ernesta Bittanti Battisti scrive nel 1905 un saggio su Segantini che si conclude con questa affermazione: «Segantini non aveva ancor detta, in arte, la sua ultima parola. Si sarebbe forse trasformato ancora, unificando le sue qualità, ritrovando tutto se stesso, se la morte non avesse spento quegli occhi, che "sapevano" così bene la luce, e irrigidita quella mano che rapiva al sole i raggi per guidarli a brillare sulle tele». Nel 1909 si inaugura ad Arco il bel monumento a Giovanni Segantini opera dello scultore Leonardo Bistolfi.
Biografia di Giovanni Segantini
Giovanni Segantini nasce ad Arco in provincia di Trento il 15 gennaio 1858. Tra il 1858 ed il 1865, la vita di Segantini è travagliata da eventi drammatici e dalle precarie condizioni economiche della famiglia. Nel 1865, in seguito alla morte della moglie, Agostino Segantini conduce il figlio a Milano e lo lascia in custodia della figlia di primo letto Irene. Durante la giornata Giovanni conduce una vita solitaria finchè nel 1870 viene rinchiuso al riformatorio "Marchiondi" per vagabondaggio e inserito presso la sezione artigianale calzaturiera dell'istituto. Nel 1871 tenta una fuga che si conclude con il rientro al riformatorio, dove resterà fino al 1873. Viene infine affidato al fratellastro Napoleone residente a Borgo Valsugana dove possiede un laboratorio fotografico. Per qualche anno Segantini svolge le mansioni di apprendista garzone. Alla fine del 1874 torna a Milano, si iscrive ai corsi serali dell'Accademia di Belle Arti di Brera che frequenta fino al 1877. Durante il giorno lavora presso la bottega dell'artigiano decoratore Luigi Tettamanzi e insegna disegno presso l'istituto "Marchiondi". Dal 1878 al 1879 frequenta i corsi regolari all'Accademia di Brera, segue le lezioni di Giuseppe Bertini e stringe amicizia con Emilio Longoni. Le sue prime opere risentono dell'impostazione del verismo lombardo imperante allora nell'ambito accademico. Durante l'esposizione nazionale di Brera del 1879 viene notato dalla critica milanese che ne riconosce il talento. Incontra in quell'occasione anche Vittore Grubicy col quale instaura un rapporto d'amicizia e di lavoro destinato a durare per lungo tempo. Nel 1880 si unisce a Bice Bugatti che rimarrà la sua compagna per tutta la vita e si trasferisce con lei a Pusiano in Brianza con il sostegno finanziario di Vittore Grubicy. Due anni dopo è a Carella, un altro paese della Brianza. Fino al 1884 Emilio Longoni, pure stipendiato da Grubicy, segue Segantini nei suoi frequenti spostamenti. Le opere del periodo brianzolo sono rivolte al superamento dell'impostazione accademica della formazione, che sarà superata negli anni a venire. Nel 1883 viene sottoscritto dall'artista un contratto che lo vincola definitivamente all'organizzazione di Grubicy. Nel 1886 si stabilisce a Savognino e spinto da Grubicy comincia il progressivo avvicinamento alla tecnica divisionista, prima con alcune sperimentazioni e in seguito con un'adesione totale. Dal 1886 al 1888 la sua fama si consolida per mezzo dell'attività promozionale dei fratelli Grubicy che lo presentano all'Italian Exhibition di Londra nel 1888. L'artista accresce i suoi interessi anche a livello culturale e comincia a collaborare a riviste d'arte. Dal 1889 dipinge le prime opere a orientamento simbolico che si manifesterà in seguito con vere e proprie allegorie, sempre più legate agli esempi nordici. Nel 1894 è costretto a lasciare Savognino per spostarsi in Engandina al Maloja. Le opere di quest'ultimo periodo risentono della particolare situazione di isolamento in cui Segantini si trova. I luoghi incontaminati intensificano il suo innato misticismo. Dal 1896 trascorre le stagioni invernali a Soglio in Val Bregaglia e soggiorna per qualche tempo a Milano. Ha inizio in quell'anno un progetto ambizioso che lo vede impegnato nella realizzazione del padiglione dell'Esposizione Universale di Parigi del 1900. L'iniziativa viene infine ridotta, per mancanza di fondi, alla sola rappresentazione del "Trittico della Natura". Il 28 settembre del 1899 muore per un attacco di peritonite.
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