Tre eventi fondamentali scandiscono l’attività di V: il suo arrivo a Madrid nel 1623 dopo il periodo di formazione a Siviglia, e i due viaggi in Italia, il primo di diciotto mesi (agosto 1629 - gennaio 1631), il secondo di due anni e
mezzo (gennaio 1649 - giugno 1651).
La portata del linguaggio di V trova i primi riconoscimenti già presso i contemporanei; da Luca Giordano – che definí
Las Meninas una «teologia della Pittura» – al suo biografo A. Palomino: «Qualcuno rinfacciò il fatto che non dipingeva
con soavità e bellezza soggetti piú seri, in cui avrebbe potuto benissimo emulare Raffaello d’Urbino: ed egli se la
cavò elegantemente, dicendo che preferiva esser primo in quel genere grossolano, che secondo in uno piú delicato»
(1724). Alle critiche di parte accademica si alternano apprezzamenti di scrittori e letterati che ne riconoscon l’intelligenza e la padronanza del mestiere nelle «manchas distantes/que son verdad en él, no semejantes» (A. Quevedo,1620), difendendo la pittura di V dall’accusa «borronesca» (Pacheco, 1649). In seguito, da Goya a Picasso,
l’arte di V verrà chiamata in causa a giustificare attitudini artistiche assai diverse e contraddittorie. Il suo penetrante
naturalismo riceverà elogi dal Mengs, che scorgeva nelle Filatrici «la piú esatta idea del vero stesso» (1776), e da parte di artisti come Manet. Nel 1888 C. Justi scrisse laprima biografia del pittore.
Diego de Silva y V proveniva da una famiglia nobile di Siviglia il padre era originario di Porto. Siviglia, fulcro spirituale
ed economico della penisola iberica, è in questo momento una ricca e popolosa città che gode del monopolio dei traffici con l’America e accoglie una nutrita colonia di fiamminghi e di mercanti genovesi. Assai giovane, nel1609, V entra nella bottega di Herrera il Vecchio e nel1610 firma un contratto d’apprendistato con il pittore F.Pacheco che perla sua posizione di rilievo nei circoli umanistici e letterari (le tertulias), sarà di grande aiuto al giovane allievo, divenuto suo genero nel 1618, il quale viene accolto come libero maestro nella gilda cittadina nel 1617.
La sua attività iniziale ricalca le orme del maestro soddisfacendo gli incarichi di una committenza essenzialmente
religiosa che richiede tele devozionali, ritratti e nature morte.
Le opere di questo primo periodo riflettono l’ondata del tenebrismo e del naturalismo visto di buon occhio dallacommittenza ecclesiastica; i bodegones – d’origine fiamminga – costituiscono uno dei principali generi in cui si
esercitano i giovani artisti e lo stesso V che dà prova di eccezionale virtuosismo nel Venditore d’acqua (1619-22 ca.:
Londra, Wellington Museum) contemporaneo alla
Vecchia che frigge le uova (Edimburgo, NG of Scotland), e nei Due uomini a tavola (Londra, Wellington Museum). A questi dipinti di genere, contraddistinti da volumi potentemente accentuati e che esprimono con violenza la qualità della materia e i contrasti di luce, cui la critica ha attribuito contenuti allegorici o intenti moralizzanti, si aggiunge la serie di quadri di soggetto religioso: Cristo in casa di Martae Maria
(Londra, NG) e La cena di Emmaus (Dublino, NG ofIreland), ispirati ai modelli di Pieter Aersten e Joachim Beuckelaer, nei quali il tema evangelico è presentato come una scena di genere. Il «conceptismo» della composizione mette in luce l’origine manierista e i riferimenti alla cultura umanista e aristocratica che riappariranno in forma pienamente matura in Las Meninas.
Altri dipinti di questa fase presentano un carattere devozionale come
l’Immacolata Concezione e la Visione di san Giovanni Evangelista
(entrambi Londra, NG). Pur riprendendo modelli mutuati attraverso Pacheco dalla produzione tardorinascimentale, dimostrano un personalissimo uso del rilievo ottenuto con un intenso chiaroscuro giocato sulla scala dei grigi e dei bianchi. È sempre databile in questo torno di anni l’intenso e superbo ritratto di Madre Jeronima de la Fuente (Madrid, Prado) che ricorda, come i dipinti già citati, per il tipo di impasto, lo stile di Luis Tristan nell’intensa dominante dei verdi cupi, del giallo scuro, dei rossi. Salito al trono nel 1621 Filippo IV, viene insignito della carica di
primo ministro del regno il nobile sivigliano Don Gasparde Gusman conte-duca di Olivares. Pacheco, sicuro delle
straordinarie doti del suo protetto, ottiene per lui dal conte-duca, grazie agli offici di Don Juan de Fonseca, la commissioneper il ritratto equestre del giovane Filippo IV.
Fu un trionfo senza precedenti e il ritratto venne esposto al pubblico davanti alla chiesa di San Felipe el Real. La personale affermazione del pittore nel mondo della nobiltà di corte fu da questo momento lenta ma inarrestabile e la
confidenza guadagnata presso Filippo IV ne favorí la nomina di pittore del re.
A Madrid V dispiegò il suo talento di ritrattista mentre la
produzione religiosa, che formava tanta parte dell’attività
sivigliana, venne accantonata. È inoltre significativa la sua
assiduità alle collezioni reali di pittura, ricche in special
modo di dipinti veneziani: visite queste che ebbero notevole
parte nella sua evoluzione stilistica, dal naturalismo
tenebrista alla luminosa pittura degli anni della maturità.
Inoltre la sua posizione privilegiata a corte gli diede l’opportunità
di non dipendere esclusivamente dalla committenza
clericale e di affrontare cosí temi allegorici e mitologici
a lui maggiormente congeniali. La serie dei numerosiritratti di Filippo IV e del conte-duca (Madrid, Prado) e i
dipinti di soggetto storico-celebrativo forniscono un resoconto
pressoché ininterrotto della sua evoluzione, malgrado
la perdita di alcuni suoi celebri capolavori, periti nell’incendio
dell’Alcazar nel 1734. Tra questi, l’Espulsione
dei Mori da parte di Filippo III dipinto in occasione della
competizione organizzata nel 1627 a corte che metteva alla
prova su un soggetto allegorico V e altri tre pittori, Vicente
Carducho, Angelo Nardi ed Eugenio Caxes (la posta
in gioco era la carica di «Ugier de Camara»). Tra i lavori
di questo periodo madrileno si conserva Los Borrachos (o
Festino di Bacco: Madrid, Prado) in cui V offre una personale
versione del tema mitologico, assai distante dai modelli
di Rubens e Poussin, basata sull’interpretazione in
chiave realistica – i personaggi sono contadini e soldati –
dell’apoteosi del dio pagano. Nel 1628 V incontra Rubens
in missione a Madrid e lo accompagna nelle sue visite all’Escorial
durante le quali il maestro fiammingo copiò e
studiò le collezioni d’arte della corte spagnola. Nel giugno
del 1629, dopo la partenza di Rubens e in conseguenza
probabilmente del loro incontro, V chiese al re il permesso
di compiere un viaggio in Italia, un vero e proprio viaggio
di studio.
A Barcellona entra al seguito di Ambrogio Spinola, marchese
di Los Balbases, giunge a Genova e da qui si reca a
Venezia passando per Milano. Venezia, meta favorita dai
pittori del tempo, raccoglie «il meglio della pittura» che V
studia provvisto di scorta armata dell’ambasciatore spagnolo
(del soggiorno si conservano copie da Tintoretto).
Da Venezia raggiunge Ferrara, Cento (vi incontra Guercino),
Bologna e Roma, dove grazie alla protezione del Cardinal
Barberini può lavorare, solo, nelle stanze vaticane alloggiando
in Villa Medici. La lezione del suo soggiorno
italiano sembra coagularsi attorno all’evidenza sensuale
del colorismo veneziano e alla misura stilistica di Guercino
come dimostrano due dipinti della sua permanenza a Roma:
la Fucina di Vulcano (Madrid, Prado) e la Tunica di
Giuseppe presentata a Giacobbe (El Escorial, monastero di
San Lorenzo). Alla fine del 1630 V lavorò a Napoli al ritratto
di Doña Maria sorella di Filippo IV. In quest’occasione
è molto plausibile ipotizzare un incontro tra il pittore
e Ribera.
Tornato a Madrid nel 1631, riprese il suo posto a corte licenziando
una superba serie di ritratti equestri di Filippo
III e Filippo IV e dipinti celebrativi delle glorie della mo-narchia, tra cui la famosa Resa di Breda (1634-35: Madrid,
Prado) conosciuta anche come Las Lanzas. In questi dipinti
V ha l’occasione di dimostrare quello che ha appreso in
Italia, mentre dà prova di eccezionali doti luministiche nel
paesaggio di sfondo che acquista una straordinaria immediatezza
e forza; l’atmosfera perviene a qualità di trasparenza
nei suoi ritratti, mentre il colore raggiunge raffinate
tonalità grigio-argentee e i toni degli ocra, dei verdi e rossi
vanno rischiarandosi. La Resa di Breda, assoluto capolavoro
concettuale e tecnico della maturità, equilibra perfettamente
narrazione ed esecuzione in un nuovo senso della
luce che s’irradia con effetto di palpitante verità, reso dalla
magistrale fluidità del tocco e da quel dipingere «alla
prima» che economizzando il tocco del pennello in sintesi
personalissime crea effetti di trasparenza simili ai risultati
di un acquerello su carta lasciando scoperta la ruvidità della
tela.
V lavorò ai ritratti dei reali in veste di cacciatori per la
Torre de la Parada dove Filippo IV aveva raccolto una vasta
collezione di dipinti fiamminghi, scene di caccia e nature
morte. Sempre per la Torre de la Parada dipinse sul
finire degli anni Trenta alcune scene mitologiche tra cui
Marte, Menippo, Esopo (Madrid, Prado). Marte, modellato
sulla statua Ludovisi, è trasformato in un soggetto disincantato
di vita militare, quasi una meditazione sul declino
della potenza spagnola, mentre i due filosofi ricordano assai
da vicino i modelli «picareschi» di Ribera.
Gli unici quadri di soggetto religioso della sua attività a
corte sono Cristo in Croce (ivi) destinato al convento di
San Placido, che dimostra quanto V abbia assimilato il
classicismo italiano; la lezione del soggiorno romano oltre
che di Rubens è oltremodo evidente nell’Incoronazione della
Vergine dipinta per l’Oratorio della regina. Sant’Antonio
e san Paolo eremiti (derivante da incisioni di Dürer) è all’opposto
un eccezionale esempio di meditazione sulla tradizione
iconografica medievale trasformata in un’immagine
di immediata comunicazione il cui sfondo paesaggistico
ricorda la luminosità atmosferica dei ritratti equestri. Almeno
altrettanto alti e intensi i quadri sacri per altre destinazioni,
come la Tentazione di san Tommaso d’Aquino dipinta
verso il 1632 per i domenicani di Orihuela (Alicante,
Museo diocesano) e di recente restituita al V.
Tra il 1630 e il 1640 V lavorò a una serie di ritratti famosi
per la loro immediatezza (Sebastian de Morra: Madrid,(ivi) dimostra con pienezza come V costruisse lo spazio fisico
senza alcun referente geometrico, basandosi unicamente
sui valori d’ombra e luce con eccezionale conoscenza
della prospettiva aerea, dimostrando la «facoltà complessa
di afferrare il momento piú icastico dell’apparenza
naturale... sorgente dall’efficenza cosmica delle relazioni
conflagrate a un tratto tra la luce e la materia delle cose,
fra le quali, per avventura, è anche l’uomo» (Longhi).
Il secondo viaggio di V in Italia sarà al seguito del duca di
Maqueda y Najera distaccato a Trento per fare da scorta
all’arciduchessa Doña Mariana d’Austria promessa sposa
di Filippo IV, e nel gennaio del 1649 V s’imbarca per l’Italia.
Presumibilmente la giornata dell’artista cinquantenne
era dedicata, come scrive a Filippo IV il marchese de la
Fuente, «sin perder tiempo» a passare in rassegna «todas
las pinturas» che egli doveva acquistare su incarico del sovrano
(comprerà alcuni Tintoretto e Veronese). Nel 1650
giunge a Roma dove, dopo un breve soggiorno napoletano
per riscuotere i rimanenti 8000 ducati dovuti per le spese
di trasferta, esegue alcuni ritratti tra cui quello del Pareja e
di Innocenzo X (Roma, Gall. Doria-Pamphilj) che il pontefice
definí «troppo vero», entrambi esposti al pubblico al
Pantheon. Nello stesso anno il «Signor Dijego de Silva
Velázquez, Aiutante di camera di Sua Maestà Cattholica
spagnolo Pittore» è accolto tra i membri dell’Accademia di
San Luca. Prima di far ritorno a Madrid, V è incaricato di
trattare l’arrivo a corte di Pietro da Cortona, senza esito,
mentre comunica l’intenzione di condurre con sé in Spagna
i quadraturisti Agostino Mitelli e Angelo Michele Colonna.
Circa le due celebri vedute di Villa Medici, l’Entrata
della grotta nel giardino e il Padiglione di Arianna (ora al
Prado), la critica non è concorde nell’assegnarne l’esecuzione
al primo o al secondo viaggio; l’esecuzione cosí moderna
e libera fa presupporre ad alcuni la relazione di questi
con lo stile maturo dell’artista. Tornato nel giugno del
1651 a Madrid su ordine formale del re, V viene assorbito
dalla nuova posizione di alta responsabilità acquisita (è nominato
«aposentador de Palacio», 1652, carica che s’aggiunge
a quella di «Ayuda de Camara») e dagli incarichi
organizzativi che ne conseguono. Il favore reale gli varrà
nel 1659, dopo l’interminabile inchiesta sulla «purezza» di
sangue e sull’assenza di attività mercantili, l’investitura
dell’ordine di cavaliere di Santiago, onore riservato agli alti
ranghi dell’aristocrazia. Nella primavera successiva, le
nozze dell’Infanta Maria Teresa con Luigi XIV gli impon-gono un faticoso viaggio alla frontiera di Irun per prepararvi
gli alloggi della corte e l’incontro tra i due sovrani. V
ritorna in giugno dopo i festeggiamenti, esausto; colto da
febbre violenta muore dopo qualche giorno di malattia.
Sua moglie, Juana Pacheco, gli sopravvive di una sola settimana.
L’inventario steso dopo la sua morte conferma la
larghezza di mezzi del pittore, la ricchezza dei mobili e del
vestiario, e la folta raccolta di libri e oggetti d’arte.
Poco numerose, le opere degli ultimi anni segnano un rinnovamento
dei temi e dello stile: la giovane regina e i figli
che nascono dalle nozze reali vi hanno un posto preponderante.
In queste fragili immagini V sostituisce ai contorni
fissi un gioco di macchie di colore vibrante che sfuma e
modella fino a suggerire un mondo chiuso dove gli oggetti
e i loro riflessi si fondono; da qui l’eccezionale seduzione
di certi ritratti del Prado (la Regina Marianna, l’Infanta
Margherita con una rosa) e di quelli inviati al ramo austriaco
degli Asburgo, passati al KM di Vienna (l’Infanta Margherita
col manicotto, l’Infante Filippo Prospero).
Negli ultimi anni V eseguí personalmente quattro quadri
mitologici, tre dei quali sono andati distrutti (Venere e
Adone, Psiche e Cupido, Apollo e Marsia) mentre si conserva
il Mercurio e Argo a testimonianza dell’alta qualità pittorica
raggiunta dal maestro. Sicuramente dopo il secondo
soggiorno italiano dipinse due dei suoi capolavori maturi,
la Venere allo specchio (Londra, NG) e la Favola di Aracne
detta anche Le Filatrici (Madrid, Prado) per il marchese di
Heliche, successore del conte-duca. La complessità di quest’ultima
composizione in cui V include la pittura nella
pittura trasponendo il mito nell’Officina reale di Santa
Barbara dove le operaie lavorano sullo sfondo di un arazzo
che rappresenta il «Ratto di Europa», prelude al magistrale
capolavoro del 1656, Las Meninas (Madrid, Prado) che
crea una complessa spazialità densa e palpabile la cui sintassi
complessa del gioco di sguardi conclude genialmente
la sua vicenda costruita su un «modo personale di vedere
con una terribile naturalezza che soltanto a pochi, nell’arte,
fu propria» (Longhi).