Conosciuta dal grande pubblico per le sue performance degli anni Cinquanta, per i dripping di Jackson Pollock o le bottiglie di Coca-Cola ordinatamente allineate di Andy Warhol, l’esperienza figurativa americana vanta un passato e delle origini da non dimenticare. Un’arte giovane quella degli States, nella quale tuttavia si riflette lo spirito di una nazione e il carattere di una società orgogliosa delle proprie conquiste. Dall’epopea western ai nuovi orizzonti della città, dall’amore per la prateria alla celebrazione della modernità. Un percorso complesso all’interno del quale si snoda la vicenda di autori differenti. Testimoni e interpreti di sentimenti diffusi, narratori sensibili della storia e del volto di un’America d’altri tempi.
Homer, Alta Marea, 1870
Fu a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento che gli Stati Uniti vissero un’epoca di prosperità e di ottimismo. L’industrializzazione, l’urbanizzazione sfrenata e la conquista del west stavano coinvolgendo la nuova comunità d’oltreoceano in un clima di fiducia verso le proprie capacità, base indelebile per quell’orgoglio nazionale che ne distinse da subito la cultura. La pittura di paesaggio, ispirata alla natura incontaminata e alle sterminate praterie che i pionieri incontrarono nei loro viaggi alla conquista della frontiera, rappresentò la prima espressione artistica della scuola nativa. L’ideale romantico del self-made man e il mito della wilderness, riferito ai luoghi selvaggi cui l’eroe americano guardò come a un dono divino, rappresentano i leit-motiv di immagini ricche di sentimentalismo.
Bierstadt, The Rocky Mountains, 1863
Sulla scorta di una certa tradizione romantica europea gli artisti della Hudson River School, dal nome del fiume di New York sulle cui rive dipingevano, elaborarono un linguaggio proprio. Le loro tele sono pervase da un culto per la natura vergine, riflesso del grande schema della creazione di Dio all’interno del quale l’uomo è ridotto a minima presenza. Nel silenzio e nella pace assoluta di ogni scena si coglie il desiderio di avventura e un senso di empatia fra l’umanità e il cosmo, estraneo alla tradizione figurativa del vecchio continente, ma tipico invece dell’epopea western.
Thomas Cole (1801-1848) Asher Durand furono fra i primi a farsi interpreti del credo americano e dell’archetipo diffuso di un Eden ritrovato. Nelle loro opere si susseguono ampi scenari, valli profonde e labirinti impenetrabili nella lussureggiante vegetazione delle foreste. “Stiamo cercando e stiamo sperando in qualche cosa che distingua l’arte del nostro Paese, qualcosa che riceva un’impronta dalla nostra peculiare forma di governo, dalla nostra posizione nel mondo. Qualche cosa di particolare del nostro popolo che differenzi la sua arte da quella delle altre nazioni, e ci renda capaci di pronunciare senza vergogna la consueta frase ‘arte americana’”.
Homer, Ragazzi in un pascolo, 1874
Non è difficile cogliere nelle parole del pittore Thomas Whittredge Worthington (1820-1910) lo spirito d’intraprendenza e la volontà di liberarsi dai vincoli del passato, alla ricerca di genuine creazioni, specchio di una nuova esperienza. Dalle meraviglie del microcosmo, al fascino dei cieli aperti sull’infinito. Dalle immagini “sublimi” dedicate a cascate e crepacci, alla sottile nostalgia dei tramonti sulle Montagne Rocciose o nella Yosemite Valley. Autori come Frederic Edwin Church (1826-1900),
Albert Bierstadt (1830-1902) o
Thomas Moran (1837-1926) seppero coniugare, nei loro soggetti, realtà e idealizzazione, lasciandone trasparire tuttavia l’amara coscienza di una fine imminente.
Homer, Long Branch, 1869 (
Di quell’inevitabile distruzione delle terre selvagge dovuta al progresso, che rese urgente documentare le bellezze di un tesoro in procinto di andare perduto per sempre. Con la costruzione della ferrovia transcontinentale, le vaste pianure dell’ovest divennero, a partire dagli anni Ottanta, facilmente accessibili.
La seduzione e il mistero di quei luoghi smisero di fare effetto e le composizioni della “scuola nativa” passarono di moda. Relegate con esse al ruolo di pura documentazione, furono anche le opere degli autori interessati al mondo degli indiani e alle loro tradizioni, o alle imprese di cacciatori e coloni avventuratisi in territori sconosciuti e pericolosi.
Homer, Prisoners from the front, 1866
In questi stessi anni giunsero dall’Europa, grazie all’esperienza di alcuni artisti che vi si erano recati per viaggi di studio, gli echi delle riflessioni impressioniste. Ma alle tendenze francesi, così in voga fra l’élite sociale statunitense, si opposero autori come Winslow Homer (1836-1910) e Thomas Eakins (1844-1916). Fedeli interpreti della realtà americana, svilupparono uno stile realista in grado di cogliere con vivacità le scene e i personaggi di un vivere quotidiano. Accanto alle opere dedicate agli episodi della guerra civile, Homer, in particolare, approfondì temi legati all’intimità famigliare, al mondo campestre e ai paesaggi del New England, tanto cari al pubblico della costa. Una visione più colta e “cittadina” quella di Eakins, stimato ritrattista e testimone di una società intellettuale che riconobbe in lui il più valente interprete del proprio status.
L'arte americana fra tradizione romantica e adesione alle avanguardie
Il ritorno alle origini
Wood, American Gothic
La caduta della borsa di New York, nell’ottobre del 1929, provocò danni sociali, economici e politici che influenzarono profondamente lo stile e i contenuti nelle opere degli artisti americani. La nuova drammatica realtà determinò la nascita di gruppi di opposta tendenza. Se da un lato infatti il movimento del Realismo Sociale denunciò le tragiche condizioni delle classi meno abbienti, dall’altro il Regionalismo, rifiutando le amarezze del presente, rievocò le atmosfere di un passato agricolo e isolazionista. Thomas Hart Benton (1889-1975), Grant Wood (1892-1942) e John Steuart Curry (1897-1946) furono fra i più significativi interpreti di questa tendenza. In opposizione all’affermarsi dell’industrializzazione, espressero una visione epica dei costumi, in una sorta di nostalgica e utopica immagine di ritorno alle origini come evasione dalle angustie della Depressione.
Propugnando “un’arte nata sul territorio americano, testimone della vita americana”, questi artisti tentarono di conciliare la tradizione ottocentesca con l’esigenza di produrre opere di ispirazione locale che narrassero, in termini semplici, la quotidianità della vita rurale. Lungi dal celebrare i miti d’un tempo, quello della wilderness o della frontiera, i regionalisti si limitarono a narrare le vicende dei piccoli insediamenti di campagna. Rappresentanti di una umanità dignitosa e attiva, le figure dei braccianti riassumono i temi più cari alla cultura statunitense e alla romantica evocazione del self-made man. Nel loro lavoro silenzioso si rispecchia l’ideale di una società serena, in grado di fornire quella pace e quel rispetto per i valori della vita venuti meno nel caos spersonalizzante della metropoli. Dietro ogni immagine si cela un significato più profondo.
Benton, L'uragano, 194 I
morali e la propria fede puritana dalla contaminazione delle nuove regole del sistema industriale e dalla minaccia della modernità.
Le luci e la vita della città
Cassat, All'Opera )
L’atmosfera che evocano ci riporta al fascino dei romanzi di Edith Wharton o di Henry James. I personaggi di cui ci parlano trasmettono, nelle loro movenze, il clima di un’epoca e con essa lo charme di una nuova società. Sono le opere della scuola americana di fine Ottocento. Di quegli artisti che diedero un volto all’entourage di cui si fecero narratori, trasferendo sulla tela scene di vita salottiera, incontri galanti nei caffè e occasioni mondane. L’Europa, in quest’ottica, diede il suo apporto agli autori che, legati alla lezione di Monet, Pissarro o Sisley, furono sensibili al fascino della grammatica impressionista.
Bellows, Stag at Sharkey's
Fedeli alla propria storia e immersi in una realtà ben diversa, essi scelsero tuttavia una strada espressiva più idonea ai soggetti che ne caratterizzarono la produzione. Mentre James Whistler (1834-1903) infatti, sulla scorta di una formazione europea, prese le distanze dalla cultura della madrepatria, allineandosi al gusto della British Academy, John Sargent (1856-1925), Mary Cassatt (1844-1926) o Robert Henri (1865-1929), mantennero nelle loro immagini uno spirito decisamente “più americano”. Non solo per la verve con cui ritrassero i protagonisti della high society cittadina, ma anche per la disinvoltura con cui elaborarono uno stile proprio, sensibili alle influenze di correnti diverse.
Hopper Automat, 1927 )
È nello “svergognato” Ritratto di Madame X di Sargent, che si riassume tutto lo spirito di quegli anni, di quell’America sdegnosa e dei suoi protagonisti. Sebbene il pubblico perbenista del Salon non fosse ancora pronto per un’arte che riflettesse il carattere nazionale, negli ambienti altolocati delle città dell’East Cost, come Boston, Philadelphia e New York, le opere di questi artisti “autonomi” ebbero invece grande successo. La spallina lascivamente scivolata sul braccio di Madame X, che Sargent fu costretto a ritoccare, sarebbe stata capita e vista forse come l’anticipazione di nuove e audaci tendenze.
Hopper, Eleven A M, 1926 (
Fu con gli esordi dell’Ashcan School (scuola dei pittori di rifiuti) che si aprirono le porte a quel realismo metropolitano riconosciuto oggi come uno dei movimenti più significativi della figurazione d’oltreoceano. Rifiutando categoricamente i precetti accademici della National Academy of Design, autori come John Sloan (1871-1951), George Bellows (1882-1925), Edward Hopper (1882-1967) o Martin Lewis (1881-1962) descrissero nelle proprie opere la realtà di tutti i giorni, anche nelle sue sfaccettature più squallide e meno decorose. Le città che, con rapidi tocchi di pennello, Childe Hassam (1859-1935) aveva descritto in maniera tanto amabile ma superficiale, divenne nelle opere dei realisti il fulcro di una vita “in corso”, di scenette a volte di genere, altre volte di più drammatico impatto. Così diversi fra loro, tanto da non poter essere inseriti in una rigida classificazione storico-artistica, questi sottili osservatori della routine quotidiana, celarono dietro le luci della metropoli considerazioni esistenziali sul ruolo dell’individuo nell’era moderna.
Hassam, Giornata di pioggia a Boston, 1885 (Foto Archivio IGDA)
Se in un primo momento infatti la figura umana viene ritratta quale estasiata testimone delle conquiste del mondo industriale, la presa di coscienza della sua fragilità dinanzi agli spettacolari orizzonti cittadini condusse gli stessi artisti verso visioni più pessimistiche. Disincantati testimoni di una solitudine diffusa. Qualcuno reagì concentrandosi sui vizi e le ipocrisie borghesi, altri raccontando i retroscena di una città da vivere, dei suoi locali notturni, delle curiose abitudini newyorchesi o degli incontri di box abusivi, organizzati negli scantinati fumosi dei saloon. Artisti “silenziosi” come Lewis rimasero stregati dal fascino della città e delle sue luci. Ma è nei dipinti e nelle incisioni di Hopper che più che altrove si legge la storia di un Paese cresciuto forse troppo in fretta, tanto da non lasciare il tempo alla sua “gente” di abituarsi ai profondi mutamenti a cui assistette come isolata dietro la finestra di un appartamento vuoto.
L'arte americana fra tradizione romantica e adesione alle avanguardie
L'American Modernism
Weber, New York (Foto Archivio IGDA)
“La storia dell’America è una storia di giganteschi fatti ingegneristici e di colossali costruzioni meccaniche” disse Louis Lozowick (1892-1973) nel 1927. Un’affermazione che dimostra come lo sviluppo incessante della metropoli esercitò agli occhi degli artisti un grande fascino. Nel giro di due decenni la popolazione di New York crebbe da 100.000 a 1.700.000 abitanti. La necessità di sfruttare le aree edificabili, l’espansione delle costruzioni su strutture d’acciaio e l’invenzione degli ascensori stimolarono la progettazione di edifici sempre più alti. Il Flatiron, il Singer o il Woolworth Building divennero nell’immaginario comune il simbolo di una nazione in crescita.
Le rivoluzioni artistiche in atto in Europa servirono, in questo quadro, da sprone all’indagine espressiva che gli autori americani applicarono alle tematiche a loro più vicine. La fabbrica prese il posto della cattedrale, in veste di grande edificio rappresentativo dei tempi moderni. Le costruzioni che si accavallavano le une sulle altre, affollando in modo convulso il panorama cittadino, divennero protagoniste delle opere di John Marin (1870-1953), Max Weber (1881-1961), Charles Demuth (1883-1935) o di Georgia O’Keeffe (1887-1986), nomi di spicco di quella corrente figurativa, aperta alle suggestioni delle avanguardie europee, nota come American Modernism. Seguendo una strada diversa rispetto ai colleghi del Realismo Sociale, questi pionieri del rinnovamento stilistico seppero trovare un compromesso fra l’astrazione pura e la propria tradizione linguistica.
O'Keeffe, New York con la luna
L’importante episodio newyorchese dell’Armory Show, l’esposizione d’arte moderna del 1913 che scosse il pubblico americano come nessun altro avvenimento culturale prima di allora, innescò la miccia di un importante cambiamento. In mostra, gli artisti americani presenziarono accanto ai grandi protagonisti delle tendenze d’oltreoceano, e fu questa, per molti di loro, l’occasione per carpire i segreti di un inedito sperimentalismo e per far tesoro delle novità sbarcate nella grande mela. Suggestioni cubiste, dinamismi “alla moda” futurista, accenti dada o sintesi puriste convivono nelle realizzazioni di autori che seppero guardare alla scuola del vecchio continente, ma che trovarono poi nel proprio i soggetti a cui ispirarsi.
Il pittore Thomas Eakins (1844-1916) soleva ripetere: “Anziché passare il tempo all’estero per acquisire una conoscenza superficiale dell’arte del vecchio mondo, è meglio studiare il proprio Paese, illustrane la vita e le caratteristiche”. Un insegnamento che negli anni seguirono in molti. Dai rappresentanti della “scena americana”, agli audaci interpreti del non figurativo. Ed è in questo che consta l’originalità di una cultura giovane ma complessa. La cultura di una nazione che ha trovato in se stessa e nel proprio volto in evoluzione l’incentivo per una ricerca continua sulla forma e i contenuti. Modi diversi per raccontare la propria storia fatta di conquiste, di città sfavillanti, grandi industrie e strade affollate, ma anche di piccoli drammi, di angoli deserti di periferia e di persone sole al tavolo d’un caffè.
HUdson River School
appellativo riferito, più che a una scuola vera e propria o a un gruppo ben definito di artisti, a numerosi pittori statunitensi che crearono tra il 1825 e il 1875 la tradizione della pittura americana di paesaggio. Il paesaggio studiato dal vero, dipinto all'aria aperta, costituì una specie di reazione agli schemi neoclassici del bello ideale importati dall'Europa, che limitavano le espressioni dell'arte al genere storico e soprattutto a quello del ritratto, dove l'immagine dipinta non doveva essere distratta da nessun'altra presenza (scorci di paesaggio, mazzi di fiori decorativi, ecc.). Tra i primi artefici della pittura di paesaggio in America si ricordano T. Dougthy (1793-1856), T. Cole (1801-1848), F. Church (1826-1900). Cole fu la personalità più ricca e più autentica del movimento e a lui si deve l'inizio della H., che si concretizzò nel 1826 quando l'artista si stabilì, subito seguito da altri, in una località sulla riva occid. dell'Hudson.