Napoli ha conosciuto presto i più moderni paesaggisti europei,in virtù degli scambi artistici e culturali ancora vivaci con i maggiori paesi europei (e, beninteso, col resto d’Italia) dovuti al suo il rango di Capitale di uno Stato detenuto fino al 1861;al suo inserimento come meta obbligata nei circuiti del "grand tour", il classico viaggio d’Istruzione della gioventù aristocratica europea; ed al soggiorno di numerosi artisti stranieri (da Turner, a Corot e, più tardi, a Degas) e di altre regioni italiane (D’Azeglio in particolare) che vi hanno apportato decisivi motivi di ispirazione per la fioritura di originali esperienze di avanguardia. Sulla tradizione locale settecentesca, accademicamente legata ai canoni classici del "paesaggio ideale" di cui in Europa erano Maestri incontrastati Nicolas Poussin e Claude Lorrain),ma anche caratterizzata dalle fiorenti espressioni commerciali del "vedutismo" diretto a soddisfare le richieste dei turisti, vengono ad innestarsi i motivi più tipici e rivoluzionari dell’estetica romantica nell’espressione figurativa: dal "pittoresco" al "sublime"; ma anche orientamenti,progressivamente più netti, verso una pittura "realistica", pur sempre filtrata dal pathos psicologico della sensibilità dell’artista. E parallelamente la pittura "dal vero" ("en plein air") soppianta il paesaggio di immaginazione costruito in studio. Si tratta di una sfida culturale che assume tra le file degli innovatori, in più di un caso, i connotati della contrapposizione consapevolmente polemica agli insegnamenti canonici dell’Accademia (Giacinto Gigante, in particolare). Al tempo stesso, peraltro, essa provoca significativi sforzi di adeguamento dell’insegnamento accademico, perseguiti a piùriprese, con passione degna di miglior successo, da alcune tra le più rilevanti personalità artistiche del periodo approdate in tempi diversi alla guida della "Reale Istituto napoletano di Belle Arti": a partire da Antoon Sminck Van Pitloo, promotore dello studio dal vero, alla cui scuola (accademica e privata) si èformata la maggior parte dei paesaggisti più significativi operanti tra il ‘20 e il ’50 (in particolare gli esponenti della cosiddetta scuola di Posillipo); a Giuseppe Mancinelli, Domenico Morelli e Filippo Palizzi. In ogni caso, in un contesto caratterizzato dal ruolo innovativo trainante della pittura di paesaggio, viene meno definitivamente, anche negliordinamenti accademici, lo stereotipo che la confinavagerarchicamente al rango di "genere minore". La scelta espressiva del "realismo lirico" si nutre, intorno agli anni ’50, di nuove sollecitazioni linguistiche, a seguito dei contatti con la scuola di Barbizon,intrattenuti soprattutto da Giuseppe Palizzi; e lo scrupolo di "verita" si impone, in qualche caso (Filippo Palizzi), con la forza di un irrenunciabile valore etico. In molti altri casi, peraltro, il realismo naturalista scade a forme stereotipe di bozzettismo a sfondo sociale; mentre,parallelamente , si registra l’irreversibile decadenza dell’Accademia napoletana. Gli anni ‘80 coincidono significativamente con la conclusione di una parabola: Napoli ha ormai perduto da vent’anni il proprio rango di capitale, la rotta dei viaggi di istruzione passa ormai altrove, e l’afflusso esterno degli artisti e la circolazione delleidee. Per gli artisti napoletani più vivaci ed intraprendenti (come De Nittis o Mancini), come del resto di altre regioni italiane, le mete di un flusso che ha invertito direzione sono ormai Londra e soprattutto Parigi, dove, più che altrove, si respira l’atmosfera della nuova epoca che nasce, espressa visivamente nei luminosi colori della "rivoluzione impressionista".
Altri artisti del periodo
Carelli Gortese Cartel Fergola