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FOTO PRESENTI 3 |
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Dalbono Edoardo (Napoli, 1841-1915)
EDOARDO DALBONO (NAPOLI, 1841-1915) SIRENE A POSILLIPO
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Dalbono Edoardo (Napoli, 1841-1915)
DAL BONO EDOARDO GLI INNAMORATI [1865/1868 C.],
olio su tela,
49 x 62,5 cm attribuito
Napoli, Museo di San Martino, inv. 13668. provenienza: donazione Rotondo, 1911. Il dipinto, inedito, non datato e non firmato, è pervenuto al Museo di San Martino con la donazione Rotondo (1911) e l'attribuzione fin da allora a Edoardo Dalbono. L'opera è riferibile alla fine degli anni sessanta dell'Ottocento, cioè alla fase giovanile, che possiamo considerare ancora di formazione, del pittore. é questo il periodo in cui Dalbono risente da un lato dell'influenza di Domenico Morelli e del suo modo di "ammodernare" la pittura di storia, dall'altro di quella dei pittori della scuola di Resina e di Nicola Palizzi nello studio della luce in relazione a una calcolata geometria prospettica degli spazi. In particolare il tema della terrazza con personaggi e sfondo paesaggistico richiama "Napoli da Mergellina" di Nicola Palizzi (Vasto, Museo Civico), ma anche il dipinto dello stesso Dalbono "La terrazza" (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea). Tuttavia, tanto il tema degli innamorati, quanto la gamma coloristica e il peculiare rapporto fra la terrazza e la collina retrostante ricordano in modo diretto una delle versioni del "Paggio innamorato" di Morelli della fine degli anni sessanta, che apparteneva ai collezionisti genovesi Maglione Oneto, soprattutto la versione ambientata in esterno su una terrazza, pubblicata da Primo Levi l'Italico nella monografia del 1906 (p. 165) e oggi dispersa. Per avere un'idea della gamma cromatica di quel dipinto ci possiamo rifare allo studio morelliano de "La terrazza" (Napoli, collezione Banco di Napoli) che Luisa Martorelli mette in relazione proprio con il quadro del "Paggio innamorato", rilevando in particolare la bellezza del "brano di paesaggio mediterraneo" (Napoli 1997, pp. 531 sgg.) dello sfondo, che torna quasi identico nell'opera del Dalbono. Identica è anche l'atmosfera del dipinto, capace di trasformare uno studio dal vero in scenografia teatrale. Per le gamme cromatiche e l'impostazione tonale il brano di paesaggio dello sfondo è confrontabile anche con i due paesaggi di Morelli presenti in questo catalogo
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Dalbono Edoardo (Napoli, 1841-1915)
DAL BONO EDOARDOGLI INNAMORATI [1865/1868 C.],
olio su tela,
49 x 62,5 cm attribuito
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Figlio del critico Carlo Tito e della poetessa Virginia Garelli e nipote di Cesare Dalbono, fu precocemente educato all'arte e alla musica. Studiò il disegno con l'incisore Augusto Marchetti e con i pittori B. D'Elia e Nicola Palizzi. Furono inoltre suoi maestri Giuseppe Mancinelli e soprattutto Domenico Morelli. Dopo aver esordito all'ultima Biennale borbonica del 1859, con un "paesaggio di composizione" per il quale ottenne la medaglia d'argento di II classe ("S. Luigi Re di Francia soffermatosi sotto una quercia rende giustizia a una famiglia che riverente a lui ricorre"), seguì inizialmente tanto la pittura di paesaggio di tipo posillipiano, quanto la pittura di storia di impronta morelliana; a quest'ultimo genere appartiene il dipinto "Scomunica di Re Manfredi", premiato all'Esposizione nazionale di Parma del 1870 e acquistato dal principe Gioacchino Colonna. Negli anni giovanili si avvicinò anche ai Macchiaioli del gruppo di Portici, sperimentando soluzioni luminose della pittura di "macchia" in opere come "La terrazza" (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna) e il "Vesuvio" del 1872 (collezione Cariplo). Partecipò spesso alle esposizioni della Promotrice di Napoli: ricordiamo "Da Frisio a Santa Lucia" del 1866 (Napoli, Museo di San Martino), "La piazza del Gesù Nuovo" del 1867 e "La leggenda delle sirene" del 1871 (Napoli, Accademia di Belle Arti), replicata più volte ed esposta anche alla Mostra nazionale di Milano del 1872 e a quella universale di Vienna del 1873, dove ebbe la medaglia di bronzo e fu acquistata da Vonwiller. Questo dipinto, nel quale l'artista fornì un'interpretazione fortemente sensuale delle sirene, evitando la consueta rappresentazione della donna per metà pesce, diede avvio a una lunga produzione di opere di pittura "poetica", molto richieste dal mercato europeo. Dalbono fu presente in diverse esposizioni nazionali e internazionali. Nel 1880 espose a Torino tredici opere, tra le quali molti acquerelli, genere che sperimentò con abilità tecnica e con non poche soluzioni originali; tra queste ricordiamo "Caligine" (acquistata da Vonwiller), "La sera" e "Una via della vecchia Napoli" (acquistate da Goupil). La trasfigurazione simbolista e sensuale del tema mitologico è il nerbo di opere come "La favola di Arianna" (acquistata da Haseltine); a tali dipinti affiancò costantemente ritagli poetici dell'immaginario partenopeo come "D'estate a Posillipo" (acquistata da Schlaepfer), esposto a Roma nel 1883. Alla I Internazionale d'arte di Venezia del 1895 l'artista mandò "Il mare a Torre Annunziata"; a Londra nel 1904 una veduta di Pozzuoli, "Barche in riposo", e "Sulla via di Sorrento"; a St. Louis nello stesso anno "Barca da pesca", e alla Internazionale di Roma del 1911 altre dieci vedute. Dal 1878 al 1888 soggiornò in Francia, dove stabilì un fruttuoso rapporto col mercante ed editore Goupil. Per soddisfare la domanda del mercato francese realizzò molte opere con piacevoli soggetti tratti dall'iconografia partenopea, come vedute della città spesso arricchite da barche di pescatori o da "canzoni sul mare" e feste locali. Al ritorno da Parigi, Dalbono riprese con maggiori pause la frequentazione delle mostre della Promotrice, dedicandosi invece all'illustrazione dei fascicoli delle "Piedigrotte", pubblicati a Napoli da Bideri e da altri. Apprezzato da D'Annunzio per la sua visione in chiave simbolica della realtà, fu ottimo decoratore (compì vari cicli in palazzi e chiese di Napoli). Le sue opere furono presenti nelle maggiori collezioni di italiane ed europee, come quelle di Weemals, Vonwiller, Jerace, Schlaepfer, Casella, Sirignano. Si occupò anche di critica: le sue commemorazioni in morte di Morelli e di Gèr™me costituiscono importanti testimonianze sull'arte del tempo; altri suoi scritti furono raccolti da Benedetto Croce insieme con testi di Morelli nel volume La scuola napoletana di pittura del secolo decimonono, edito da Laterza nel 1915.
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