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La formazione artistica di Carlo Sbisà, nato a Trieste nel 1889, non avviene secondo l'iter tradizionale. Dopo aver lavorato come cesellatore, orefice e disegnatore di macchine, nel 1919 vince una borsa di studio per l'Accademia di belle arti di Firenze, dove si trasferisce sino al '28. Dopo solo due anni Sbisà abbandona gli studi accademici, preferendo confrontarsi direttamente con artisti a lui contemporanei che condividono la sua poetica. Per tutto il periodo fiorentino, in accordo con gli amici Carena, Oppi e Funi, l'artista riscopre gli ideali del classicismo cinquecentesco. È questo un presupposto fondamentale per l'avvicinamento al clima di Novecento, vissuto in modo sempre più intenso partire dal '28. Nel '29 infatti si trasferisce per quattro anni a Milano, aderendo alle scelte teoriche e artistiche del gruppo. Di questo periodo è la tela Città deserta, un vero e proprio omaggio all'architettura milanese (nell'edificio centrale si riconosce la rotonda di Pellegrino Tibaldi, un tempo posta all'interno del Lazzaretto), reinterpretata secondo reminiscenze cinquecentesche e con toni enigmatici e inquietanti. Dal 1932 Sbisà si trasferisce definitivamente a Trieste dove, parallelamente alle contemporanee sperimentazioni di Sironi nella pittura murale, si dedica alla realizzazione di numerosi affreschi per palazzi pubblici e privati. Dalla metà degli anni '40 sino alla morte, avvenuta nel 1964, l'artista si dedica all'attività di scultore, rimanendo fedele agli ideali neoclassici sui quali aveva fondato tutta la sua produzione. Del resto lo stesso Sbisà, ripercorrendo la propria storia artistica, afferma: "Io sono stato sempre, per sentimento, neoclassico: tale sono stato prima e dopo; tale sono anche adesso".
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