Dopo la Scuola di Posillipo è la Scuola di Resina, a lungo rimasta incerta nei suoi contorni, nella sua struttura e composizione, a rappresentare l'altra grande esperienza di gruppo nell'ambito della pittura di paesaggio napoletana dell'Ottocento. Da alcuni anni si nota un rinnovato interesse della critica per questo sodalizio ribattezzato ironicamente da Domenico Morelli "Repubblica di Portici".
L'anima e il punto di riferimento della compagine fu
Marco De Gregorio il più anziano, nato a Resina nel 1829 che già nella seconda metà degli anni cinquanta aveva messo su una casa studio nella Reggia di Portici. Nel 1858 lo raggiunse Federico Rossano .Ma della formazione di una Scuola si può parlare probabilmente solo a partire dal 1863, quando arrivarono sul luogo il giovanissima pugliese
Giuseppe De Nittis e il toscano
Adriano Cecioni, il primo appena espulso, per motivi disciplinari, dall'Istituto di Belle Arti di Napoli, il secondo vincitore per la scultura del concorso per il pensionato fuori Toscana. Una volta scelta Napoli, Cecioni vi si trasferì il 10 novembre dello stesso anno. L'incontro di questi quattro artisti, così diversi per temperamento e per formazione, ma mossi da intenti simili, costituì il presupposto indispensabile per le future ricerche dei Porticesi. Il gruppo principale fu subito affiancato da diversì simpatizzanti, più o meno fluttuanti, più o meno assidui e il più delle volte senza un reale vincolo di dipendenza. Tuttavia, sicuri seguaci della Scuola di Resina furono i due siciliani
Antonino Leto e
Francesco Lojacono,Alceste Campriani il beniamino del gruppo, e
lo scultore Raffaele Belliazzi, intimo amico di De Gregorio, che sembra avere ricoperto il ruolo di presidente della colonia artistica. Vi aderirono ancora, ma brevemente e in periodi diversi,
Edoardo Dalbono, Enrico Gaeta, e il pittore e letterato
Francesco Netti, testimone prezioso della scena artistica napoletana.
L'antiaccademismo, di rigore in tutti questi movimenti,che fu accompagnato da una forte opposizione contro il dominio dello "storicismo romantico" di Morelli. Conseguentemente i Porticesi bandirono dal loro repertorio tutti i soggetti storico-letterari e le scene di genere e proclamarono una pittura rigorosamente dal vero eseguita en plein air. L'osservazione attenta della natura, del cielo e del mare, la descrizione oggettiva del dato visivo, non contaminato da interpretazioni colte, la preferenza per le vedute paesaggistiche e urbane, arricchite dagli aspetti semplici della vita quotidiana nel paese, furono i più importanti dati innovatori della loro arte. Diego Martelli nel suo giudizio sulla Scuola di Resina fa notare che i quattro membri fondatori avevano costituito "una camerata di radicali in arte", che non riconoscevano "nessuna autorità" e disprezzavano "tutto quanto poteva procurar loro benessere, con le concessioni fatte alla moda".
"Radicale" in arte e in politica, così Francesco Netti definiva De Gregorio, le cui tendenze anarchiche leggeva e apprezzava gli scritti di Bakunin non erano un segreto per nessuno., E interessante ricordare che nemmeno De Nittis era rimasto insensibile alle tendenze radicali, essendo stato molto amico dell'anarchico Carlo Cafiero, barlettano come lui e compagno d'infanzia, ritrovato in seguito a Parigi nel 1870, come viene raccontato con fervore nel Taccuino dell'artista. Proprio in quel periodo, durante un lungo soggiorno in patria, De Nittis sarebbe ritornato a rappresentare figure di contadini, pugliesi e napoletani, con toni scopertamente sociali, riconducibili all'influenza sia di De Gregorio sia di Cafiero. Sulla durata della Scuola esistono varie ipotesi, che vanno dal breve periodo 1863-1867 all'arco di tempo che si estende dalla fine degli anni cinquanta all'inizio del 1876, anno in cui morì
De Gregorio. Il riferimento al periodo 1863-1867 si giustifica con la presenza compatta a Portici di tutti e quattro i membri fondatoti, presenza interrotta già durante l'estate del 1867 a causa della partenza di De Nittis per Parigi e di Cecioni per Firenze. Tuttavia, i loro stretti rapporti artistici e umani non cessarono neanche negli anni successivi, e la lunga sosta di De Nittis a Napoli, causata dalla guerra franco-prussiana, riconsolidò vecchi legami e abitudini. Anche De Gregorio, che dal 1868 al 1871 soggiornò in Egitto, avviando una produzione di soggetti orientali, era nel frattempo ritornato. La Scuola di Resina ricevette così nuovi impulsi e continuò a vivere almeno fino all'inizio del 1873, data del definitivo ritorno di
De Nittis a Parigi. In ogni caso, appare più che probabile che la colonia artistica di Portici, della quale Netti dà notizia ancora nel 1879, si sia estinta solo alla morte di
De Gregorio, il suo massimo animatore. Subito dopo, Federico Rossano, l'ultimo membro fondatore rimasto, si trasferì a Parigi su sollecitazione di De Nittis.
Le caratteristiche e lo spirito della Scuola di Resina emergono appieno in alcuni dipinti, tutti eseguiti negli anni centrali del movimento, nel periodo di maggiore affiatamento dei suoi componenti. Comuni a queste opere sono la visione ferma, estremamente nitida dell'immagine, la resa precisa di ogni particolare fin sulla linea d'orizzonte, il che conferisce lo stesso valore, disegnativo e cromatico, a tutti gli elementi , e la spazialità ara, pia e articolata. La luce limpida e tersa crea un'atmosfera di atemporalità e di sospensione.II quadro più sorprendente, e anche il meno noto, è il "Paesaggio di Avellino" di
De Gregorio, datato 1864, che sembra anticipare alcune ricerche divenute tipicamente denittisiane, quali il tema della strada, quasi una metafora della vita che scorre, animata da viandanti, carri e diligenze. Particolare è l'inquadratura della strada, decentrata a destra e diritta, che fornisce lo spazio per la descrizione di una bella pianura meridionale, delimitata sullo sfondo da una catena di monti innevati. Nella "Veduta di Casacalenda" De Gregorio si confronta invece con problemi di tutt'altra natura, avendo come obiettivo la rappresentazione spaziale di una piccola realtà urbana, vivacizzata dalla presenza di alcuni animali domestici e da una popolazione variopinta. Come nelle vedute napoletane di Frans Vervloet degli anni venti dell'Ottocento, delle quali il Porticese rivela una approfondita conoscenza, il disegno è la struttura portante della prospettiva geometrica. Arioso e solare, il dipinto di De Gregorio esprime particolarmente bene l'atmosfera schietta e genuina della Scuola di Resina.
La stessa atmosfera, il medesimo modo di costruire l'immagine, si sarebbero ritrovati, ancora diversi anni dopo, in un quadro di Francesco Netti, "Sul sagrato della chiesa" , ambientato a Santeramo in Colle, la cittadina natale dell'artista pugliese. Netti ricorre inoltre a un mezzo stilistico da lui usato spesso c volentieri, cioè il non finito, l'abbozzo, il provvisorio, assicurando così al dipinto una inaspettata, affascinante modernità.
Le opere di De Nittis "Casale nei dintorni di Napoli" e "L'Ofantino" risalgono entrambe al 1866 , la seconda è posteriore di qualche mese , e formano una specie di coppia di vedute minuziose, accomunate dalla stessa visione luministica che immerge i paesaggi in una luce quasi surreale. Il cielo terso, senza nuvole, assume nella veduta campana un prezioso colore turchino che evoca l'effetto dello smalto. Realizzare questo effetto fu proprio uno degli obiettivi di De Nittis negli anni della Scuola di Resina. Cecioni scrive in proposito che l'amico barlettano aveva un modo estremamente "fine di vedere" e che "la natura gli sembrava in molti punti smaltata, specialmente nell'aria".
Altre tipiche caratteristiche denittisiane sono l'estrema precisione nella resa dei paesaggi, la meticolosa cura anche del più piccolo particolare e la costruzione dell'immagine tramite piani orizzontali. E sorprendente constatare, a conferma di quanto fosse vincolante la tradizione del paesaggismo napoletano, come il giovane De Nittis, malgrado il suo atteggiamento ribelle, avesse assimilato la lezione di Filippo Palizzi, soprattutto del Palizzi vedutista degli anni quaranta e cinquanta, autore di opere quali "La veduta della Valletta" ( Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea) e "II real sito di Cardicello" Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte), premesse incontestabili dei primi quadri denittisiani. Tuttavia, l'artista pugliese appare più statico nelle sue creazioni e in un certo senso anche più costruito. Prendendo come esempio ,"L'Ofantino" si scopre che diversi motivi, tra i quali il ragazzo appoggiato cori il braccio alzato al muro a secco e la composizione dei tronchi d'alberi in primo piano, ricompaiono, con qualche variazione, negli "Studi vari" del Museo Civico di Barletta. Il maestoso bue bianco comodamente sdraiato si rivela invece una citazione "colta", derivata dal repertorio di Philipp Hackert. L'obiettivo comune di una rinnovata pittura di paesaggio trovò nelle opere di
Federico Rossano un'altra personalissima risposta. Uno dei primi dipinti datati dell'artista, " Campo di grano"", presentato nel 1863 alla II Esposizione della Promotrice napoletana e acquistato da Vittorio Emanuele II per Capodimonte, colpisce per la semplicità e sobrietà della composizione, ed è di grande efficacia per il lungo raglio orizzontale che esalta il maestoso avanzare del grande carro carico di fieno. La figura del contadino se dato in alto sul carro si staglia diretta mente nel grigio,azzurro del cielo. Il tema della raccolta del grano e dei ,covoni eretti nei campi sarebbe diventato uno dei soggetti preferiti di Rossano, specialmente negli anni francesi.
Anche se di forme più grandi e più sintetiche, la sua "Marina di Casamicciola (Ischia)" (cot. 79) con figure di bagnanti, si avvicina molto alle coeve ricerche di De Nittis; ma è soprattutto la luce tersa, che avvolge tutto in un'atmosfera atemporale, a rive lare le radici comuni della loro arte.
Molto più arduo è voler indicare nell'opera del toscano Adriano Cecioni le affinità con gli altri componenti del gruppo, anche se sono state pubblicate recentemente nuove ricerche con esiti interessanti. Quasi in contraddizione con l'orientamento paesaggistico della Scuola, egli si dedicò soprattutto allo studio della figura umana, parimenti in scultura e in pittura. Le sue poche vedute napoletane, di estremo formato oblungo, alla maniera dei Macchiaioli del periodo di Castiglioncello, non sembrano aggiungere molto a tale proposito. È più che probabile che si debbano a Cecioni, critico e teorico, l'elaborazione del programma artistico e soprattutto i contatti con i Macchiaioli della Scuola di Piagentina.
Per offrire un panorama più ampio e più puntuale della Scuola di Resina, seguiamo ora le vicende dei suoi protagonisti fino al dissolversi del gruppo.