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FOTO PRESENTI 47 |
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Novecento milanese
BARBIERI ADUNATA DI GENTE IN PIAZZA (ORDINE DI ADUNATA)
Olio su tela, 1934
Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna
Esposta alla XIX Biennale di Venezia del 1934, questa immagine venne ampiamente diffusa dalla stampa nazionale (Il Popolo d’Italia, La Stampa, Il Gazzettino di Venezia ) per aver ottenuto l’assegnazione del Premio del Partito Nazionale Fascista. Il tema, che da un lato dichiara il manifesto favore di Barbieri per la politica di regime, dall’altro consente all’artista di ambientare una scena popolare nella Bergamo degli anni trenta. L’umanità che vi viene rappresentata è la stessa che anima le composizioni più raccolte di Barbieri: donne del Novecento, in abiti contemporanei, interpreti del ruolo femminile richiesto dalla morale corrente; un’infanzia ordinata che testimonia e accoglie le attenzioni di madri scrupolose. Se non fosse per le divise (lo stesso artista si ritrae in camicia nera sulla sinistra )è il quotidiano nella sua umile solennità ad essere messo in scena, nella familiare cornice di Piazza Mercato del fieno in Città Alta, uno dei luoghi più antichi e amati della città e proprio per questo ambientazione ideale per un incontro popolare.
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C. BARBIERI, RICORDI, 1931
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P. BORRA, DONNA CON VELO, 1929
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A. BUCCI, L AUTUNNO, 1910
Sullo sfondo di un paesaggio collinare marchigiano Bucci rappresenta l'allegoria della stagione autunnale, intesa come un incontro panico con la natura, vissuto serenamente e come conclusione di un ciclo naturale. Un giovane Bacco, vestito di sole foglie di vite, pigia l'uva stando sopra un carro carico di grappoli, mentre alle sue spalle una Menade dalle forme abbondanti porge un cesto colmo di acini a una compagna. Di essa intravediamo solo la mano, protesa nel gesto di afferrare la frutta, e parte del volto. A coprirla è una figura barbuta e sorridente, posta in primo piano.
L'opera, realizzata nel 1910, mostra l'adesione dell'artista, seppur per un breve periodo, alla pittura simbolista: alla cronaca istantanea della vita parigina subentrano nudità eroiche, temi allegorici e mitologici. Quello di Bucci però è un simbolismo naturalistico che, pur concentrandosi non più sulla narrazione quotidiana ma su temi allegorici, non sconfina mai nell'onirico e nel visionario. L'artista dispone infatti le figure sullo sfondo della campagna marchigiana, mantenendo un impianto sostanzialmente realistico. A un disegno nitido e preciso, capace di far risaltare la plasticità dei corpi, Bucci accosta un colore intenso che giunge, nella trattazione degli acini d'uva, a effetti divisionisti
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BUCCI AUTORITRATTO
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A. BUCCI, GLI AMANTI SORPRESI, 1920-21
È un episodio autobiografico a fornire all'artista il motivo ispiratore della tela. L'immagine fa riferimento alla rottura del rapporto con Juliette Maré, la giovane algerina conosciuta a Parigi nel 1909. Nel personaggio che scosta la tenda, sorprendendo gli amanti, e nel volto della donna in primo piano si riconoscono infatti i tratti fisionomici dell'artista e di Juliette. Il tono ironico, dato dall'autoriferimento, viene accostato da Bucci a reminiscenze classicheggianti, visibili soprattutto nel tendaggio tizianesco. La composizione presenta inoltre un'iconografia insolita: un disegno preciso e una prospettiva corretta mostrano un groviglio di corpi e di morbide carni, rappresentati da diverse angolazioni, con tratti anatomici fortemente scorciati. L'opera rientra nella produzione artistica dei primi anni '20. Intorno a questa data la pittura di Bucci si orienta verso un disegno preciso e ben definito, con accostamenti cromatici più sobri e più calibrati rispetto alle tele degli anni precedenti. Proprio nel ritmo maestoso e ben costruito dell'opera Gli amanti sorpresi troviamo il presupposto di quella che sarà, di lì a pochi anni, la piena adesione dell'artista al gruppo Novecento.
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A. BUCCI, RITRATTO DI ROSA RODRIGO, 1923
Si dirà da alcuni che questa del Bucci è un'arte che ondeggia fra il realismo più crudo e le morbide allegorie della sensibilità, ma ciò non sminuisce i suoi meriti di pittore sensibile e fantasioso; anzi, spesso in virtù di questa specie di duplice personalità raggiunge delle risonanze inusitate." Con queste parole Carrà commenta, nel 1923, la pittura di Bucci, sottolineando la compresenza di aspetti realistici e di un clima spesso sospeso. La giovane e bella Rosa Rodrigo compare a mezzo busto, in una posa piuttosto tradizionale. Appoggiata alla balaustra fa sfoggio di preziosi gioielli che mostra allo spettatore. Gli orecchini pendenti, il bracciale e le perle impreziosiscono l'immagine della modella, mentre il vestito elegante e sensuale lascia intravedere, in trasparenza, le forme del suo corpo, un particolare che non poteva certo passare inosservato. Rosa Rodrigo mostra davvero tutte le sue bellezze, avvolta da una luce calda, che fa risaltare l'ampia scollatura e le braccia. Bucci affronta un tema apparentemente tradizionale reinventandone l'iconografia e aggiungendo particolari scherzosi che fanno sorridere, secondo il suo temperamento bonario. Alla sintesi dei volumi accosta inoltre scelte cromatiche sobrie e uniformi che fanno risaltare tutta la sensualità della modella.
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A. BUCCI, RITRATTO DI VELIA (LA FAMIGLIA PESARO), 1918
La giovane Velia Pesaro viene rappresentata dall'artista come una figura monumentale che occupa il centro della composizione. Un'ampia chioma ne incornicia il viso, lievemente semplificato e geometrizzato. Il contrasto cromatico tra il cappotto blu cobalto e i capelli fulvi colpisce l'attenzione dello spettatore, spinto a concentrarsi sulla luce che circonda il volto di Velia. Sullo sfondo di un interno borghese, nella penombra, i signori Pesaro, vegliano sulla figlia, accennando un sorriso. Bucci stende il colore sulla tela a segmenti fitti e corposi, avvicinandosi agli esiti del divisionismo pur non condividendone mai la poetica. La famiglia Pesaro è inoltre un'importante testimonianza della precoce frequentazione fra l'artista e il mercante d'arte che sarebbe divenuto sostenitore e divulgatore delle idee del gruppo Novecento. Il contatto con Bucci risale al 1917, quando Pesaro accoglie nella sua galleria una mostra dell'artista dedicata al tema della guerra. Non a caso è proprio Bucci a inaugurare, nel 1923, la serie delle mostre di Novecento. Tra tutti i membri del gruppo inoltre egli è l'artista che tiene il maggior numero di personali nella Galleria di Lino Pesaro.
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A. BUCCI, I PITTORI, 1921-24
Olio su tela, 160 × 160 cm; Provincia di Pesaro e Urbino, Pesaro
In quest'opera l'artista riesce a coniugare sapientemente due aspetti ricorrenti della propria poetica: l'adesione cioè alla maniera novecentista e alle ascendenze francesi, derivategli dal soggiorno parigino. Bucci colloca la figura del pittore, un autoritratto, sullo sfondo di un paesaggio ampio e profondo, il nativo borgo di Fossombrone. Il riferimento alla pittura francese e al plein air viene però riletto in una luce nuova. Lo sfondo viene sì dedicato al paesaggio ma questo è definito con cura e precisione, come nelle opere del '400. Anche il primo piano della scena mostra una commistione di antico e nuovo. Bucci si rappresenta come un maestro antico con in mano gli strumenti del mestiere, mentre osserva pensieroso l'affresco di stampo rinascimentale che sta eseguendo. Un aiutante di bottega, ritratto con uno scorcio piuttosto ardito, gli porge i colori macinati sulla tavolozza. La nota umoristica della sigaretta accesa nella mano dell'artista contrasta con l'ambientazione e contestualizza immediatamente l'opera. Bucci è un artista che conosce e ama la pittura antica ma si sente profondamente moderno. La sua pittura è in grado di coniugare entrambi gli aspetti, con note spesso umoristiche.
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A. CARPI, MARIA IN ROSSO, 1924
Olio su tela, 100 × 80 cm, Collezione privata
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C. CARRà, L AMANTE DELL INGEGNERE, 1921
Olio su tela, 55 x 40 cm
Collezione privata
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C.CARRAIN RIVA AL MARE
In riva al mare, sulla spiaggia, compare la sagoma stilizzata di un pino marittimo dal tronco slanciato, terminante in una piccola e raccolta chioma di aghifoglie. A sinistra, come una quinta scenografica, è raffigurato un caseggiato, la cui funzione è quella di introdurre l'osservatore nello spazio pittorico: si tratta di un robusto solido geometrico, la cui massa imponente è riecheggiata dallo sperone roccioso, a destra. Il paesaggio è disabitato, non vi è alcuna traccia della presenza umana, alla quale si riferisce indirettamente un panno bianco, abbandonato sopra a un cavalletto, al centro del dipinto. Domina un'atmosfera calma e silenziosa, immobile e innaturale, memore delle ambientazioni metafisiche di de Chirico. In questo dipinto, tuttavia, Carrà mette da parte le implicazioni intellettuali e l'allegorismo della Metafisica: il richiamo all'arte del passato diventa un elemento determinante nella ricerca di un moderno e sobrio realismo, in linea con gli ideali propagandati dalla rivista "Valori Plastici". L'attenzione all'arte dei primitivi italiani è evidente nella sistematica semplificazione prospettica e formale, nella ricerca di uno stile sintetico e di sapore arcaico che rimanda alle forme nitide e scultoree dell'arte di Giotto. Questa tela viene esposta per la prima volta alla mostra berlinese "Das Junge italien", organizzata nel 1921 dalla rivista "Valori Plastici"; quattro anni dopo, lo storico dell'arte Wilhelm Worringer dedica al dipinto un celebre saggio sulla rivista "Wissen und Leben". "Con questo dipinto" scrive Carrà nel 1940 "io cercavo di ricreare una rappresentazione mitica della natura [...]. Considero quest'opera fondamentale per il nuovo indirizzo che stavo maturando".
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Novecento milanese
CARRà, I DIOSCURI, 1922
Olio su tela, 56 x 67 cm
Collezione privata
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C. CARRà, SAN GIACOMO DI VARALLO, 1924
Olio su tela, 55 x 60 cm
Civica Pinacoteca e Biblioteca, Alessandria
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CARRà, LA CREVOLA, 1924
Olio su tela, 25 x 37 cm
Collezione privata, Roma
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C. CARRà, IL MULINO DELLE CASTAGNE, 1925
Olio su tela, 40 x 55 cm
Collezione privata
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C. CARRà, LE FIGLIE DI LOTH, 1919
Olio su tela, 110 x 80 cm
Museo Ludwig, Colonia
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C. MONTI, FIGLI, 1930
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PAOLA CONSOLO, AUTORITRATTO
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R. DE GRADA, SOBBORGHI DI MILANO, 1930
Olio su tela, 82 × 68 cm, Collezione privata
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RAFFAELE DE GRADA IL MULINO A SANTA CHIARA, 1927
olio su tela, 90x75 cm firmato e datato in basso a s. Dono di Dino Cardarelli
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L. DUDREVILLE, LA VITA è UN PUNTO NERO… CHE SI RIPETE, 1910-12
Tecnica mista a carboncino su cartone riportato su tela, 62 × 50 cm
L'opera viene realizzata nel periodo di avvicinamento dell'artista al clima dell'avanguardia futurista, negli anni immediatamente precedenti la fondazione di Nuove Tendenze. Il soggetto scelto e la trattazione del tema svelano infatti l'appartenenza dell'opera al clima di sperimentazione dei primi anni '10.
Due giovani donne, dalle forme opulente e dagli sguardi ammiccanti, camminano a passo sicuro, tenendosi a braccetto. Tutt'intorno un andirivieni di persone crea l'effetto del concitato movimento della vita cittadina. A completare l'immagine del notturno fasci di luce, proiettati dai lampioni, si diffondono a raggiera nello spazio circostante creando una successione ritmica di alternanza tra ombra e luce. Le figure sono definite con un segno veloce che semplifica le forme in lievi geometrizzazioni. La linea si prolunga spesso oltre le figure in tratti sottili che suggeriscono l'idea del movimento e del ritmo presente nella scena. Questo espediente, simile al concetto di "linee forza" dei futuristi, è visibile soprattutto nelle gambe delle signore a passeggio: al passo appena compiuto ne segue un secondo che lascia una traccia evidente nel fitto tratteggio nero che circonda il piede in appoggio.
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Novecento milanese
L. DUDREVILLE, L AUTUNNO, 1913
Un movimentato groviglio di linee curve, rette e sezioni circolari insieme ai pochi elementi figurativi riconoscibili, case e foglie, creano una singolare compenetrazione di mondo agreste e paesaggio urbano. L'elemento delle foglie autunnali viene risolto in forme geometriche ovali e sferiche che tendono all'astrazione. In questa fase della sua produzione, l'apice delle esperienze futuriste, l'artista si allontana dal dato naturale e visivo alla ricerca di un'astrazione ricca di spiritualismo. Con essa Dudreville vuole esprimere "l'istintivo bisogno dell'uomo a salire e a perfezionarsi, a portare il proprio io in sfere più elevate e migliori", come sostiene l'artista stesso.
L'opera, di piccole dimensioni, è preparatoria per il dipinto Autunno, realizzato nello stesso anno e facente parte delle quattro tele dedicate alle stagioni. Rispetto al dipinto, lo studio qui riprodotto presenta la stessa composizione risolta però con cromatismo meno intenso. In essa infatti la gamma di colori adottata tende sì a creare contrasti, come ad esempio negli accostamenti di rosso e di viola, ma con un'intensità non molto accentuata e per nulla stridente.
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L. DUDREVILLE, VEDOVE DI GUERRA, 1916-17
Tempera su carta riportata su tela, 38 × 39 cm
Durante la I guerra mondiale Dudreville vive un momento di profonda crisi, dalla quale uscirà con una "conversione al vero", in grado di avvicinarlo al clima novecentista. L'opera, realizzata in pieno conflitto, si colloca in questa fase di maturazione. L'artista ha ormai abbandonato la produzione astratto-futurista e si sta dirigendo verso un nuovo realismo di sottile denuncia morale: la follia della guerra ha provocato atroci conseguenze e un dolore insanabile, come quello delle Vedove di guerra, appunto.
La figura della donna che cuce e quella della bambina, che ripete il gesto materno, sono disposte in una semplice abitazione di cui scorgiamo pochi particolari: un davanzale, alcune piante e l'orologio a pendolo sulla parete. L'attenzione dell'artista si concentra sulla figura della vedova che ha aspettato invano, alla finestra, il ritorno del coniuge. Il volto scarno e segnato dal dolore è contornato da una linea nera e incisiva. Lo sguardo basso, rivolto al filo e alla stoffa, nasconde tristi pensieri, custoditi nel segreto. L'assoluta mancanza di comunicazione tra madre e figlia aumenta inoltre il senso di angoscia che pervade l'ambiente silenzioso e lugubre.
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Novecento milanese
L. DUDREVILLE, LA GRAN VALLE, 1920
Olio su tavola, 33 × 49 cm
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E. MALERBA, NUDO, 1923-24
Olio su tela, 160 x 140 cm; Collezione privata
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E. MALERBA, FEMMINA VOLGO, 1920
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E. MALERBA, NATURA MORTA, 1925
Olio su tavola, 34,5 x 34,5 cm
Civico Museo d'arte contemporanea , Milano
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E.MALERBA, RITRATTO, 1924
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Olio su tela; Collezione privata
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E. MALERBA, LE AMICHE, 1924
Olio su tela, 133 x 150 cm
Collezione privata, Torino
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Novecento milanese
E.MALERBA AUTORITRATTO,1916
Olio su tela, 86 x 70 cm
Collezione privata
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A. FUNI, GIOVINETTA (MARGHERITA - LA SORELLA), 1913
Tecnica mista su cartone, 45 × 38,5 cm
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Novecento milanese
. FUNI, AUTORITRATTO CON BROCCA BLU, 1920
Olio su tavola, 39,5 x 36,5 cm Collezione privata
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Novecento milanese
A. FUNI, GIOVINETTA (MARGHERITA - LA SORELLA), 1913
Tecnica mista su cartone, 45 × 38,5 cm
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A. FUNI, PESCIVENDOLA (LA FIGLIA DEL PESCATORE), 1927
Olio su tela, 90 x 70 cm Collezione privata
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Novecento milanese
A. FUNI, LA SORELLA MARGHERITA CON BROCCA DI COCCIO, 1920
Olio su tavola, 32,5 × 25 cm
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Novecento milanese
A. FUNI, NUDO DI DONNA CON STATUA, 1930
Olio su tela, 150 x 80 cm Collezione privata
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Novecento milanese
FUNI, IL TRIONFO DI CESARE, 1940
. Tecnica mista su cartone, 75 x 150 cm Collezione privata
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Novecento milanese
A. FUNI, BAGNANTE, 1929 OLIO SU TELA,
89 x 73,5 cm Collezione privata
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Novecento milanese
MARUSSIG, BAMBINA CON MELA, 1923
Olio su tela, 60 x 45 cm
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Novecento milanese
P. MARUSSIG, RAGAZZA CON CEMBALO, 1924
Olio su tela, 67 x 55 cm
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Novecento milanese
P. MARUSSIG, L’AUTUNNO, 1924
Olio su tela, 149 x 100 cm; MART, Trento
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Novecento milanese
P. MARUSSIG, AUTORITRATTO
Olio su tela, 36 x 30 cm
Collezione privata, Milano
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Novecento milanese
OPPI. BOZZETTO PER LA PALA DI SAN VENANZIO, 1923
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Novecento milanese
U. OPPI, PAESAGGIO CADORINO, 1924
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Novecento milanese
U. OPPI, NUDO ALLA FINESTRA, 1926
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Novecento milanese
U. OPPI, AUTORITRATTO, 1911
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Il 1922 è la data della costituzione di Novecento, il gruppo formato da Bucci, Dudreville, Funi, Marussig, Malerba, Oppi e Sironi, benché la Sarfatti nella sua Storia della pittura moderna faccia risalire al '20 la sua gestazione, facendo riferimento proprio alla collettiva della Galleria Arte inaugurata nel marzo di quell'anno. E lo stesso Funi, in un articolo-intervista pubblicato nel '71, raccontando la storia del Novecento, dichiara che la sua origine è da rinvenirsi nella formulazione del manifesto "Contro tutti i ritorni in pittura" firmato da lui con Dudreville, Russolo e Sironi: "Allora, dopo la I guerra mondiale, vivevamo anni di grande confusione in cui ognuno dipingeva per se stesso senza ben capire cosa fare… Noi venivamo dal Futurismo ma il Futurismo era morto, non era una cosa che potesse durare per sempre… Il suo scopo primario di abbattere ogni convenzionalismo, di distruggere tutte le forme comuni era stato raggiunto, il suo ruolo di avanguardia europea (insieme a quello del Cubismo) era stato giocato. Si imponeva ora, secondo noi, una riproposta della forma e dell'ordine. Non con un ritorno comodo e facile alla plasticità della grande tradizione pittorica italiana, ma come un originale tentativo di conquistare nuovi valori plastici mediante 'un'ampia e forte visione sintetica'. Perciò nel 1920 firmai il manifesto 'Contro tutti i ritorni in pittura'. Da lì, nei miei ricordi, comincia il Novecento." La classicità moderna di Novecento risiede nella volontà di ispirarsi all'antico, ma senza praticare la copia. La tensione del gruppo è verso una rielaborazione della sintassi classica aggiornata attraverso uno stile assolutamente moderno, fondato non certo su una pedissequa citazione o un'imitazione letterale del passato, ma sul far rinascere in una nuova veste quello spirito e quell'idea di bellezza. Una rinascita che pone nel concetto di sintesi la sua premessa fondamentale e su cui la Sarfatti insiste quasi ossessivamente. Nei suoi scritti e nelle elaborazioni teoriche che procedono parallelamente alla nascita e all'evoluzione della poetica di Novecento appare chiara l'influenza delle riflessioni di John Ruskin che nel saggio Elementi del disegno e della pittura identifica il processo compositivo con l'operare per semplificazioni, per sintesi. Sintetica era la pittura di Gauguin e quella del suo discepolo Maurice Denis, i cui esiti espressivi non sono certo sconosciuti alla cerchia novecentista. La sintesi è poi una delle categorie del vocabolario futurista insieme alla ben più celebrata velocità e al dinamismo tradotti in pittura e scultura da Balla e Boccioni.
Quella di Novecento è una storia non certo lineare, la cui densità già si manifesta nella scelta del nome. È Bucci che lo propone, benché all'inizio, considerato il numero dei protagonisti, avesse suggerito "Il candelabro", ma l'idea fu scartata perchè l'allusione al simbolo ebraico, tanto più che sia Lino Pesaro che la Sarfatti erano ebrei, non sembrò, come dire, opportuna. Si pensa dunque a Novecento, come racconta lo stesso Bucci: "La cosa andò così. Il gruppo dei sette presieduto da Lino Pesaro chiese a me un nome, un titolo, per fregiarsene e sventolarlo come una bandiera. Ci pensai su. E di nomi ne portai due, qualche giorno dopo: il Candelabro e il Novecento. Il Candelabro fu messo subito da parte perché parve, con le sue sette braccia, troppo da sinagoga. E sul Novecento si riflettè, si meditò, si tentennò. Fu accettato ma senza quell'unanime entusiasmo che mi sarei aspettato. In una lettera a Vittorio Pica spiegai lungamente il perché del nome. Allora, vent'anni fa, i secoli gloriosi dell'arte italiana si arrestavano al '700. Si diceva correntemente '400, '500, ma oltre '700 non si andava. Ora perché non procedere con un 'Novecento'? Un secolo d'arte, per definire un gruppo di sette pittori, era una fanfaronata, ne convengo; era una 'boutade', ma spiritosa. Vittorio Pica non fu di questo parere: non ammirò il Novecento. Anzi, tornato da un viaggio, lo sbattezzò. Da allora in poi fummo il gruppo di 'Sette pittori italiani' fino alla esposizione di Venezia del '24". Ed è così che si presentano alla prima mostra alla Galleria Pesaro, inaugurata il 26 marzo 1923, senza che fosse pubblicato un catalogo e senza che fosse teorizzata una vera e propria poetica. È l'approdo alla Biennale di Venezia del '24 l'evento che dà un valore di ufficialità al gruppo, che espone in una sala intitolata "Sei pittori del Novecento" a causa della defezione di Oppi e in occasione della quale la Sarfatti scrive un testo programmatico di singolare importanza. "Deità lungamente profughe, ecco ora le idee generali, le idee maestre, ritornare al dominio delle arti plastiche. Sei giovani pittori, che furono tra i primi a battersi per i begli occhi del concetto e della composizione, pensarono di stringersi in manipolo per meglio circoscrivere i diritti della pura visibilità. Nacque così nel 1922 a Milano il gruppo che si intitolò "del Novecento". Il nome dispiacque, quasi i sei avessero accaparrato il secolo tutto per sé, e il nome fu abbandonato. Il gruppo rimase, e la sua esistenza è un sintomo. I sei di oggi si sono accorti di avere da un pezzo combattuto a contatto di gomiti. Portano nell'arte ognuno una visione propria ma, pur nella libertà dei temperamenti e delle convinzioni individuali, tendono concordi verso alcune essenziali unità. È consolante il constatare che la ricerca stessa li conduce, come per mano, verso ideali sempre più chiari e definiti di concretezza e semplicità."
Gli artisti
Barbieri Borra Bucci Carpi Carrà Consolo De Grada
Dudreville FUNI GIGIOTTI ZANINI MALERBA
MARUSSIG Monti MORELLI OPPI Penagini Sbisa
Sinopico SIRONI
http://www.artesuarte.com/900%20a%20MILANO/novecento_milanese.htm
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